In piazza per la giornata sulla Sla, aspettando la ricerca

Dopo il successo dell’Ice bucket challenge, le “secchiate d’acqua” che hanno suscitato curiosità, clamore (e qualche polemica), ma hanno anche raccolto fondi a favore della ricerca sulla sla, l’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica ha celebrato domenica 21 settembre la 7° giornata nazionale sulla sla; un evento che lo scorso anno ha fruttato una raccolta di 220 mila euro. Volontari in piazza anche a Padova, in via Roma per raccogliere fondi. Guarda le foto della manifestazione.

In piazza per la giornata sulla Sla, aspettando la ricerca

Dal momento in cui si manifestano i primi, talora imperscrutabili sintomi, al tempo in cui tutto finisce nel modo più drammatico, possono passare soltanto tre anni.
Il piede che scivola sul pedale della bicicletta, la fatica di camminare, la parola difficile, la vista che si offusca, le stanche difficoltà di movimento: la diagnosi a quel punto, se competente e tempestiva, non lascia molti dubbi. La sla, la sclerosi laterale amiotrofica, è una patologia feroce, nelle modalità in cui si manifesta e costringe a vivere i pazienti e la famiglie, spietata nei tempi che concede, ancora rara.

Un centinaio i malati nel Padovano
«Nel padovano – racconta Damiano Zampieri, da due anni presidente provinciale Uildm aisla, l’associazione nazionale che si occupa dei colpiti da distrofia muscolare e da sla – i malati sono tra gli ottanta e i cento. Numeri piccoli, ma nel nostro caso non è certo una questione di quantità».
Vero, anche se alla fine sono proprio i numeri a fare la differenza. «È chiaro che su una patologia che tocca soltanto qualche decina di soggetti, prevalentemente di età matura, non sono molti quelli pronti a investire. Fino a qualche tempo fa, nel panorama della patologie e dei malati, la sla era considerata un evento marginale».

Pochi casi, scarso impegno delle case farmaceutiche
Tale residualità ha avuto conseguenze decisive su versanti fondamentali per la lotta alla malattia. «Prendiamo la ricerca: è chiaro che tutti, dagli studiosi alle case farmaceutiche, si indirizzano verso patologie che colpiscono in maniera più diffusa. Forse anche per questo della sla sappiamo ancora molto poco».
Una patologia terribile e ignota. «Non abbiamo ancora scoperto da che cosa sia causata, quale sia il nocciolo perverso del male; qualche passo avanti è stato fatto, ad esempio si è accertato che non c’è nessuna relazione tra l’attività fisica e l’insorgere del morbo; tanti discorsi che si erano fatti di fronte al male di alcuni soggetti agonisticamente impegnati (pensiamo al calciatore Borgonovo) si sono rivelati infondati, per il resto siamo fermi. Si continua a ricercare, più di un tempo, ma per il momento senza successo».

Cura impossibile, sollievo praticabile?
L’inevitabile (per ora) sla continua dunque a colpire: la cura è impossibile, il sollievo praticabile? «Quando una famiglia si accorge del problema, ha una sola strada percorribile: rivolgersi alle strutture sanitarie; quasi sempre il passaggio successivo è il contatto con la nostra associazione, con l’Uildm che da qualche anno si è unita con l’Aisla, quella che segue specificatamente i malati di sla. A questo punto si può cominciare a intervenire, sia sul piano delle terapie e in particolare della riabilitazione (l’associazione gestisce un apposito centro), sia nella prossimità con le famiglie o con tutti quelli che seguono il malato».

La solitudine delle famiglie
Un altro punto nodale: la sla è un male totalizzante, non soltanto negli effetti sul malato, ma anche nel coinvolgimento di chi ci vive assieme. «È forse l’aspetto più delicato e difficile; improvvisamente una famiglia normale può trovarsi coinvolta in una vicenda terribile; al di là del dolore, delle preoccupazioni, della rassegnazione, esiste il tema di come supportare questa situazione. La solitudine nella sofferenza può essere terribile».
Si potrebbe pensare che la sanità pubblica, il sistema del welfare (vanto del Veneto) sia attento e ricettivo, ma pare proprio che non vada così. «Le risorse sono sempre meno. È vero, esiste una convenzione tra la nostra associazione e la sanità pubblica, ma è ferma da anni: con le stesse risorse un tempo seguivamo 150 malati (non solo di sla), oggi ne abbiamo in carico 200. Poi vi è la vicenda dei fondi, che ci sono ma non vengono assegnati».

I fondi pubblici stanziati e mai utilizzati
La storia in questione è quella di un centinaio di milioni di euro che, qualche anno fa, lo stato ha assegnato per gli interventi in tema di sla: al Veneto ne sono toccati 8, ma di fatto sono rimasti al punto di partenza. «Non si è mai capito che cosa sia successo, di fatto quella disponibilità non è arrivata; eppure ce ne sarebbe un grande bisogno».
La domanda, insistente, è quella che riguarda le famiglie: come vivono? «La maggior parte riesce a inserirsi nel circuito virtuoso di chi condivide lo stesso problema: per noi associazione è decisivo proprio questo aspetto, non far sentire nessuno abbandonato, mettere in comune la criticità, vedere come altri l’hanno affrontata. Ma c’è anche una quota di pazienti e famiglie che subiscono la malattia senza relazioni, in solitario».
Forse per questo, pensando al dramma dei malati di sla e dei loro cari, spesso lasciati in balia del male e di un percorso dagli esiti terribili, Damiano, anch’egli affetto da distrofia, laureato in economia aziendale e responsabile finanziario di Etra, sorride e alza le spalle quando si parla delle recenti “secchiate di ghiaccio”, che tanto clamore hanno suscitato. «Se servono alla causa, ben vengano; magari qualcuno le avrà usate per avere una foto sul giornale, ma noi guardiamo ad altro, anzi agli altri; il resto passa, la malattia rimane».

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