Martedì 3 Casa Madre Teresa apre le sue porte. Per guardare all'Alzheimer con occhi diversi

Un posto per alleviare le solitudini e le sofferenze di oltre cento pazienti con le loro famiglie: si aprono ai visitatori martedì 3 ottobre, dalle 16 alle 18, le porte di Casa Madre Teresa a Rubano, la struttura concepita in seguito al giubileo del 2000 come segno della comunità cristiana, per venire incontro al crescente bisogno dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie.

Martedì 3 Casa Madre Teresa apre le sue porte. Per guardare all'Alzheimer con occhi diversi

Un posto per alleviare le solitudini e le sofferenze di oltre cento pazienti con le loro famiglie: si aprono ai visitatori martedì 3 ottobre, dalle 16 alle 18, le porte di Casa Madre Teresa a Rubano.

Un invito rivolto ai cittadini che vogliono conoscere la realtà diocesana dedicata all’assistenza delle persone affette dalle varie forme di demenza: in particolare il morbo di Alzheimer, ricordato lo scorso 21 settembre dall’apposita giornata celebrativa mondiale istituita nel 1994 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Sarà possibile visitare alcuni ambienti della struttura, guidati dal personale interno che rimarrà a disposizione anche per illustrare le attività svolte quotidianamente con gli ospiti residenti e con quelli del centro diurno.

Un profetico segno giubilare

Casa Madre Teresa, che nel 2016 ha festeggiato i 10 anni di attività, è stata concepita in seguito al giubileo del 2000 come segno della comunità cristiana, per venire incontro a un bisogno che proprio in quegli anni iniziava a emergere con prepotenza.
Oggi è costituita da due nuclei residenziali che ospitano in tutto 34 persone, a cui si aggiungono altri due nuclei diurni suddivisi per livelli di gravità: 38 posti sono attualmente riservati alle persone nella fase iniziale della malattia, a cui vengono proposti percorsi di stimolazione e di potenziamento delle autonomie residue, mentre 35 sono i pazienti che hanno bisogno di una maggiore assistenza, in primo luogo per imparare a gestire eventuali disturbi comportamentali, nel loro stesso interesse e in quello dei loro familiari.

Un ruolo particolare è riservato alla stimolazione cognitiva: attività apparentemente semplici come disegnare e dipingere, cantare insieme, vedere un film e leggere un libro possono divenire piccole conquiste da difendere per contrastare l’avanzata della malattia.

«Inoltre la nostra specificità è che non ci occupiamo solo della malattia, ma della persona considerata nel suo contesto, a cominciare dalla famiglia», spiega lo psicologo e psicoterapeuta Andrea Melendugno, che coordina l’équipe degli educatori in servizio presso il centro.

«In particolare cerchiamo di ricostruire e di potenziare le reti sociali e di appartenenza messe in pericolo dalla malattia, costruendo intorno alla persona un ambiente che la protegga nella maniera più ampia possibile. Per questo offriamo formazione anche ai familiari, ad esempio per aiutarli a gestire alcuni disturbi del comportamento».

Una vita ricca di stimoli e di opportunità di scambio è spesso il fattore decisivo: previene la malattia e ne modifica il decorso, rallentandola ed elevando la qualità della vita.

Per contro, uno dei maggiori pericoli dell’Alzheimer è proprio quello della solitudine: per gli ammalati, ma anche per le famiglie e gli stessi operatori.
Per questo è importante un lavoro quotidiano sulla motivazione di tutti i soggetti coinvolti: «Il nostro lavoro è fatto di tanti piccoli miracoli quotidiani: ad esempio quando senti dire qualche parola a una persona che non parlava da tempo. Per questo – conclude Melendugno – dico sempre ai miei collaboratori che

siamo come cercatori d’oro: anche se le pepite diventano sempre più piccole e difficili da trovare, noi comunque sappiamo che continuano a essere lì da qualche parte e che non dobbiamo smettere di cercarle».

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