Sinodo sulla famiglia/5* Sulle unioni di persone dello stesso sesso

La quinta tappa di avvicinamento al sinodo dedicato alla famiglia (che vivrà un primo momento importante in ottobre) riporta una riflessione di coniugi Benciolini, medico legale impegnato sui temi della bioetica lui, psicologa e psicoterapeuta lei. «In una chiesa di persone adulte – scrivono – dev’esserci lo spazio per la voce di chi vive esperienze omoaffettive. Sgombrando il campo da luoghi comuni pesantemente offensivi».

Sinodo sulla famiglia/5* Sulle unioni di persone dello stesso sesso

Osserviamo che, a differenza di altri temi, pur di grande rilevanza e complessità, sia teologica che pastorale, quello delle relazioni omosessuali viene qui posto per la prima volta, e in maniera esplicita, all’attenzione di tutta la comunità dei credenti. Sentiamo, dunque, la particolare responsabilità che questi specifici interrogativi ci pongono come laici che vivono l’esperienza familiare e, per alcuni di noi, anche l’impegno nello studio delle scienze umane.

Come ci ha ricordato papa Francesco (Lettera alle famiglie, 2 febbraio scorso), l’appuntamento del sinodo «coinvolge tutto il popolo di Dio» e a ciascuno viene chiesto di accompagnare il cammino dei padri sinodali «partecipando attivamente alla preparazione con suggerimenti concreti», oltre che con la preghiera. È questo, del resto, anche lo stile propostoci del Concilio (in particolare della Gaudium et Spes) che sollecita ai laici il duplice contributo di competenza ed esperienza. Concordiamo con Giuseppe Trentin (Difesa n. 3/2013 ) sul perdurante rischio di una visione antropologica inadeguata della “questione omosessuale”, che richiede invece di essere inquadrata in «nuove scale di valori, nuovi modelli di vita, ma soprattutto un nuovo modo di impostare un rapporto tra le persone».

Tra questi “valori” si colloca certamente anche la sessualità, finora troppo condizionata dal rapporto con la fertilità. Osserviamo che anche il ricorso al termine “omosessualità” può facilitare il rischio di un visione riduttiva del problema e proponiamo di sostituirlo con quello di “omoaffettività”, certamente di più ampio respiro e adeguato a comprendere una estesa gamma di vissuti e interrogativi che non possono essere circoscritti al solo esercizio della sessualità.

Ma sul piano della vita quotidiana e delle esperienze che ci interpellano come credenti che vivono in una società democratica, quali spunti ricavare dall’invito del questionario? Sentiamo che in una chiesa di persone adulte vi deve essere lo spazio per la voce di chi vive esperienze omoaffetive o anche legami più precisi con persone dello stesso sesso. Lo esige in primo luogo il rispetto della dignità di ogni persona, sul quale si fonda la nostra convivenza. In una visione di fede, poi, lo richiede la consapevolezza che condividiamo lo stesso battesimo e la stessa confermazione che ci è stata donata dallo Spirito.

Va dunque sgombrato il campo da ogni fraintendimento legato a superate classificazioni di ordine patologico, così come da giudizi morali precostituiti, inaccettabili alibi che ancora oggi favoriscono luoghi comuni pesantemente offensivi. Non si tratta, certo, di un impegno che riguarda la sola comunità ecclesiale, anzi. Questi luoghi comuni (che non troviamo solo sulle labbra di chi è facile alle battute da osteria ma anche nelle dichiarazioni pubbliche di personaggi con responsabilità politiche) sono ancor oggi ricorrenti e talora così fortemente incidenti sulla sensibilità di alcuni (specie se molto giovani) da portare alla drammatica rottura del loro fragile equilibrio di vita.

Ci piace pensare alla possibilità di scambi preziosi tra le comunità dei credenti e le famiglie al cui interno si vivono in prima persona gli interrogativi che nascono (a volte in modo inaspettato) dalla “scoperta” che un proprio figlio manifesta orientamenti omoaffettivi. La famiglia deve poter trovare luoghi e persone adeguate per poter esprimere serenamente i propri “vissuti” e le domande che essi le stanno proponendo, ma anche la comunità può risultarne arricchita e divenire, agli occhi di tutti, un luogo esemplare di testimonianza, in grado di incidere (e questo sarebbe veramente un grande risultato del lavoro di preparazione del sinodo) anche sul sentire comune. Una chiesa che sa riconoscere anche questi “segni dei tempi” e che non ha timore che i suoi membri si pongano, nel confronto con tutti gli uomini, in atteggiamento di piena e laicale disponibilità a contribuire alla crescita dei valori umani. Anche condividendo, sul piano delle scelte politiche, soluzioni legislative in grado di tutelare socialmente queste unioni.

Accenniamo, da ultimo, a due preziose esperienze di cui siamo a conoscenza. La prima è quella portata avanti dal gruppo Emanuele, amici che vivono la condizione omosessuale, desiderosi di crescere nella loro fede in Cristo Gesù. Organizza serate di approfondimento intorno a temi e personaggi biblici e di condivisione delle proprie esperienze di vita e di preghiera e, ogni anno, una veglia di preghiera per tutte le vittime dell’omofobia. Una diversa esperienza è stata recentemente promossa dal centro universitario: un incontro, dedicato all’esame del questionario per il sinodo, che ha visto la partecipazione di coppie sposate, conviventi, fidanzati, divorziati risposati e una coppia gay. Sono state ore vissute da tutti con particolare intensità, grazie alla possibilità che ciascuno ha avuto di esprimersi e confrontarsi, anche sui temi dell’omoaffettività, con libertà e serenità.

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