«Quella volta che ci dimettemmo contro la Mammì…»
Nell'estate del 1990 tutti i ministri della sinistra democristiana si dimisero dal governo, per protesta contro la scelta di porre la fiducia sulla legge Mammì, considerata un regalo a Berlusconi. C'era Mattarella e c'era anche il padovano Fracanzani.
Parlamentare dal 1968 al 1994, ministro delle partecipazioni statali dal 1988 al 1990 con De Mita e Andreotti, Carlo Fracanzani ha condiviso per anni con Mattarella l’impegno politico in parlamento, nella Dc e al governo.
Insieme, in particolare, sono stati protagonisti della clamorosa rottura che portò nell’estate del 1990 alle dimissioni tutti i ministri della sinistra democristiana, in polemica con la scelta di Andreotti di porre la questione di fiducia sulla legge Mammì, destinata a consolidare il predominio di Berlusconi nel campo televisivo.
Che politico è Mattarella?
«Una persona che concepisce la politica in modo autentico. Per lui la politica è costruire. Una politica che si basa sui valori, sulle idee, che poi si cerca di tradurre nei fatti, in risposte concrete ai problemi della gente in coerenza con le indicazioni di Moro e La Pira, interpretate con le sue qualità e con la sua sensibilità. Sergio si è sempre mosso in questa direzione. L’antitesi della personalizzazione della politica, della “politica-spettacolo” che tanta parte ha avuto nel declino del nostro paese. Un problema di costume e di cultura prima ancora che politico».
Quelle vostre dimissioni sono state un caso più unico che raro…
«Eravamo concordi che era inaccettabile avallare una legge in materia televisiva che non dava riscontro a una direttiva europea e a una sentenza della Corte costituzionale. Andreotti ci disse di ritirare le dimissioni. Noi invece le confermammo e mi è rimasta impressa nella mente per la durezza del tono e dei contenuti la dichiarazione del mite Mattarella. Ma quando un’azione politica si presenta in contrasto con i propri principi, il perseguirla non è fare politica nell’ottica del “servizio”, come si dovrebbe, ma del potere per il potere. In questi casi è necessario lasciare anche quando si rivestono ruoli importanti, anzi a maggior ragione».
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