Scandinavia. Il populismo cresce e governa

Nei paesi nordici è in corso un profondo ripensamento tra valori antichi e modernità. In Finlandia operano i "Veri finlandesi", in Danimarca il "Partito popolare danese", in Norvegia il "Partito del progresso", in Svezia i "Democratici norvegesi". Dietro queste sigle, si muove e si afferma una galassia spesso xenofoba che demonizza le minoranze.

Scandinavia. Il populismo cresce e governa

Tra i geli della Scandinavia i sentimenti populisti si riscaldano, talvolta con venature anti immigrati, ma non solo. Il populismo nordico, ben radicato sul piano partitico ed elettorale, ha tante sfumature e molteplici radici. Fa presa sui timori identitari, ma non è estraneo al peso (relativo a queste latitudini) della crisi, al “diluirsi” dei valori tradizionali, alle profonde trasformazioni sociali registrate negli ultimi decenni.
 
Finlandia, una questione culturale. «In Finlandia, i sostenitori del partito populista "Veri finlandesi" sono principalmente uomini, con valori tradizionali, spesso molto contrari a ogni tipo di cambiamento nella società», spiega la giornalista Johanna Korhonen, secondo cui «la questione della differenza sessuale dovrebbe essere presa in considerazione» quando si studiano i populismi.
Il partito dei Veri finlandesi è nato nel 1995 dalle ceneri del Partito rurale; nelle elezioni del 2011, guidato da Timo Soini (nella foto) ha raccolto il 19 per cento dei consensi. In chi sostiene questa formazione politica traspare la paura del futuro, con radici nella crisi economica e i suoi peculiari risvolti: la disoccupazione e la riqualificazione sono più difficili da sostenere per un uomo che per una donna. Sul maschio pesano maggiormente anche la crisi della famiglia e i divorzi. Questo disorientamento convergerebbe nella linea dei Veri finlandesi, paladini “dei valori della famiglia tradizionale”, in cui il marito è capo della famiglia, sebbene per la Finlandia oggi l’uguaglianza di genere sia un valore fondamentale e normativo, accettato dalla maggioranza della popolazione. La tesi di Korhonen trova eco in uno studio dell’istituto inglese Counterpoint intitolato “Riconquistare i radicali riluttanti”: «La società continua la sua re-invenzione, ma l’immagine della figura maschile che apparteneva a un panorama tradizionale è seriamente minacciata e incapace di definire il suo ruolo in questa nuova Finlandia».
 
Danimarca: il welfare è per noi. Per alcuni aspetti diverso è il percorso del Partito popolare danese, nato nel 1995 da una donna, Pia Kjærsgaard, oggi terzo partito in una Danimarca governata dalla sinistra moderata. A partire dal 2008, quando la crisi ha spostato l’attenzione sull’economia nazionale, i temi dell’immigrazione, dell’integrazione e dell’Islam «non sono più stati elementi determinanti le preferenze di voto dei danesi», spiega Susi Meret, coordinatrice della Rete di ricerca sul populismo nordico. Ma alcuni fatti del 2012 (legati alla carne halal, il copricapo, l’albero di natale…) sono stati abilmente cavalcati dal Partito popolare e trasformati in una martellante campagna anti-islamica. Ora si usa l’argomento del “welfare” per scaldare gli animi: solo se le minoranze si assimilano ai valori danesi – è la posizione sostenuta – si meritano i servizi. Il problema per la Meret sta però nel “contro-dibattito”: «preoccupati per le reazioni negative che questo produrrebbe tra i potenziali elettori, i rappresentati politici preferiscono tacere e tenersi lontani dal discutere la politica dei valori».
 
Populisti al governo in Norvegia. Dalle elezioni di settembre 2013 il Partito del progresso, di chiara marca populista, è parte della coalizione di governo in Norvegia (paese che non fa parte dell’Ue e che quindi non voterà a maggio per l’Europarlamento) con i conservatori. La stampa internazionale aveva insistito sul fatto che nelle fila di quel partito avesse militato per un periodo il terrorista Anders B. Breivik (autore degli attentati del 2011, con quasi 80 morti), cosa per i norvegesi «profondamente offensiva, anche per i non elettori di quel partito», aveva dichiarato Elisabeth Bakke, docente di politica comparata all’università di Oslo subito dopo le elezioni. In realtà, il risultato elettorale dei “popolari” ha registrato un declino di 8 punti percentuali nei voti raccolti rispetto alle precedenti votazioni, cui si aggiungono altri 5 punti di regresso secondo un sondaggio di questi giorni.
 
In Svezia si punta sui social media. Con un salto da Oslo a Stoccolma si incontrano i Democratici svedesi, che hanno le loro radici in un movimento neonazista da cui hanno faticosamente cercato di affrancarsi, riuscendo ad arrivare in Parlamento nel 2010 con 20 seggi. Le strade che il giovane leader Jimmie Åkesson oggi sfrutta per raccogliere consensi sono da un lato la propaganda anti-immigrazione (gli scontri dello scorso anno nelle periferie di Stoccolma tra polizia e giovani disoccupati gli hanno reso un ottimo servizio) e dall’altra una significativa presenza sui social media, che coinvolge una base giovane, come dimostra uno studio dell’istituto inglese Demos denominato “L’ascesa del populismo in Europa ricostruito attraverso il comportamento online”: se circa 5mila sono gli iscritti al partito, 16mila sono i follower su Facebook, per il 63 per cento molto giovani, attivi e motivati. Lo scopo di Åkesson è di «proseguire nello sforzo di trasformazione dei "democratici" in un partito moderno capace di influenzare la politica a livello nazionale», scrivono gli inglesi. La ricetta per contrastare questo populismo è sempre la stessa: «Se i politici tradizionali vogliono fare appello ai sostenitori di questi partiti, devono essere audaci nell’articolare e difendere i benefici dell’immigrazione e imparare a parlare dell’importanza dell’identità senza ricorrere alla xenofobia e alla demonizzazione delle minoranze».

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Parole chiave: Finlandia (2), Svezia (6), Danimarca (3), Norvegia (1), populismo (32), elezioni europee (38), europarlamento (30)
Fonte: Sir