I tre governatori, il bilancio dei virtuosi e il futuro del centrodestra

Terzo trilaterale, questa volta in Veneto, per Zaia, Toti e Maroni. Al di là delle proposte, continua la costruzione di un centrodestra «reale», gelido su Parisi e ancora in fibrillazione sulla leadership. Unanime il No alla riforma costituzionale e alla legge di Bilancio.

I tre governatori, il bilancio dei virtuosi e il futuro del centrodestra

Tre governatori per tre no.
Luca Zaia, Giovanni Toti e Roberto Maroni continuano a plasmare la triplice alleanza, con un chiaro obiettivo: rilanciare «il centrodestra reale».
Nello scenario di Ca' Tron, culla di H-farm, l'incubatore di start up di Riccardo Donadon dove Zaia ha chiuso la campagna della riconferma alla guida del Veneto un anno e mezzo fa, i due presidenti leghisti e l'ex delfino berlusconiano hanno ribadito il no secco al referendum del 4 dicembre e il gelo attorno alle proposte di Stefano Parisi.
Sabato sbarca a Venezia il tour “Megawatt” dell'ex manager Tiscali? Zaia: «Sarò sul Rio Grande do Sul a spiegare la riforma costituzionale ai nostri emigrati»; Toti: «Sarò a Firenze con Roberto (Maroni, ndr) per un grande evento in favore nel No: se Parisi ha qualcosa da proporre mi chiami o mi mandi una mail».
Ma il terzo no, quello attorno a cui è ruotato tutto questo terzo trilaterale dei governatori, è partito da Roncade diretto a Roma, dove in questi giorni la conferenza stato-regioni ha iniziato l'esame della legge di Bilancio: «insostenibile», per Toti. «Portiamo il nostro contributo al dibattito in quanto regioni virtuose – ha subito messo in chiaro Zaia – Per la nostra virtuosità ci mancherebbe anche che non fossimo ascoltati».

Ma che cosa prevede nel dettaglio “Il bilancio dei virtuosi”?
I punti toccati da Lombardia, Veneto e Liguria sono quattro. Anzitutto la “spending review”, sulla quale i governatori chiedono l'applicazione dei costi standard non solo in sanità, ma anche e soprattutto sul personale pubblico. Zaia ne è certo: «Se così fosse avremmo un risparmio di 28 miliardi l'anno, un terzo degli interessi passivi sul debito pubblico».
Debito pubblico – ed è il secondo punto, “federalizzare entrate e tributi” – che per i presidenti va ripartito tra le regioni, dopo che saranno rese autonome quelle che lo richiederanno e dopo che tutto il gettito delle imposte locali verrà lasciato a comuni, regioni ed ex province; allo stato l'onere di riequilibrare l'erogazione dei servizi fondamentali laddove l'ente locale non fosse in grado.
Ma non è finita qui. Nel terzo punto, “Richiesta economica su iniziative dirette”, i presidenti chiedono fondi per le regioni per mettere in sicurezza il territorio, anche in chiave antisismica o, in alternativa, di accendere mutui trentennali a carico dello stato. C'è poi lo scomputo degli investimenti strategici dal pareggio di bilancio (un punto molto simile al braccio di ferro che il governo Renzi sta portando avanti con l'Europa), ma anche il sostegno economico delle scuole paritarie da parte di Roma, il blocco dei tagli lineari e la proposta di un regime fiscale al 10 per cento per giovani, disoccupati e ultracinquantenni fuori dal mondo del lavoro che aprano una partita Iva e fatturino fino a 50 mila euro.
Infine la “semplificazione”, con la richiesta di rendere completamente regionale la procedura di Valutazione di impatto ambientale, l'eliminazione delle conferenze dei servizi, la regionalizzazione di funzioni come tutela paesaggistica e dell'ambiente, difesa del suolo, demanio, sovrintendenza dei beni culturali e del Corpo forestale dello stato.

Non solamente un bilancio, dunque, ma una nuova ampia richiesta di autonomia, alla vigilia di un referendum costituzionale che prevede invece un riaccentramento di molte delle competenze che la riforma del Titolo V del 2001 aveva assegnato proprio alle regioni
E soprattutto un rilancio “dal basso” di un centrodestra che rischia di rimanere stritolato tra un Pd che pure scricchiola e il M5s. «Renzi, dal palco esausto della Leopolda ha provato a descrivere il paese che costruirà – ha commentato il governatore ligure Giovanni Toti – qui invece noi siamo nel paese che già esiste, fatto dalle molte partite Iva, dalla molta creatività e dalle molte imprese che collaborano con le regioni. Il futuro, dove governa il centrodestra, è già qui».

Un centrodestra che però fibrilla quando si parla di leadership.
Detto della freddezza su Parisi, Toti è tornato ad abbozzare una sorta di primarie nelle quali tutti possano esprimersi su chi debba guidare la coalizione. Ma su questo, c'è da scommetterci, più che a Ca' Tron le decisioni verranno prese nei dintorni di Arcore.

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