Corruzione, un cancro da estirpare

Corruzione e antipolitica, alla fine, non sono che il medesimo risultato triste di una mancanza di etica all’interno del mondo degli affari e della politica, oltre che il segno di una scarsa disponibilità al cambiamento e alla conversione. Come ricordava papa Francesco ai politici italiani lo scorso marzo con parole che tornano d'attualità.

Corruzione, un cancro da estirpare

Un politico corrotto è “più eversivo” di chi fa antipolitica in maniera onesta. Lo ha detto alla Radio Vaticana mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso e presidente della Commissione Cei per gli affari sociali e il lavoro.
Corruzione e antipolitica, alla fine, non sono che il medesimo risultato triste di una mancanza di etica all’interno del mondo degli affari e della politica, oltre che il segno di una scarsa disponibilità al cambiamento e alla conversione. Parola, quest’ultima, che risuona spesso nel tempo di avvento, ma che dovremmo imparare a declinare in senso più comunitario, sociale e politico.
Mentre leggevo nei giorni scorsi i vari resoconti sulla corruzione che ha impestato Roma – non dimentichiamo però gli scandali di Milano e di Venezia – la mia memoria è corsa immediatamente a quella mattina di giovedì 27 marzo 2014, quando di buon’ora uno stuolo di 500 parlamentari italiani parteciparono alla messa che papa Francesco è solito celebrare alle 7 del mattino nella cappella di santa Marta, ma che per l’occasione, dato l’alto numero di partecipanti, fu spostata alla stessa ora nella basilica di San Pietro.

Giornali e televisioni si soffermarono allora con una punta di ironia sull’orario relativamente insolito della celebrazione, ma anche su alcune affermazioni importanti del papa. Il quale dopo aver parlato di una «classe dirigenziale che al tempo di Gesù si era allontanata dal popolo», di «interessi di partito e lotte interne», della necessità di «aprirsi a Dio e al popolo», di «uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini», si rivolse ai presenti parlando di «peccatori che scivolano in corrotti» e affermando che «i primi saranno perdonati, perché possono redimersi, i secondi no, sono fissati nel loro errore».
Parole di non facile interpretazione e anche abbastanza inconsuete, se vogliamo, almeno nella formulazione, sulla bocca di un papa che ha fatto della misericordia e del perdono il perno del suo magistero e della sua azione pastorale. Uno potrebbe chiedersi: ma allora cosa ne è della misericordia e del perdono di Dio?
Forse che i corrotti non sono peccatori e non meritano la misericordia e il perdono di Dio? Chi però volesse comprendere il senso preciso delle parole del papa dovrebbe tener presente che non riguardano tanto la misericordia e il perdono di Dio, quanto la conversione degli uomini. O, forse meglio, una possibile figura comunitaria, sociale, politica, e non solo individuale, interiore o spirituale di conversione. Soprattutto se si pensa a una società come quella italiana in cui la corruzione è così radicata e strutturata che la misericordia e il perdono di Dio rischiano di passare per un favore al crimine e al suo incremento, se non una breccia fatale nel sistema democratico, una specie di lascia-passare per i nemici più subdoli e pericolosi della democrazia.

Unica alternativa alla corruzione – questo il senso delle parole del papa – è la conversione, un cambiamento profondo e radicale di strutture, di leggi, di pene che sia accompagnato da un cambiamento non meno profondo e radicale di mentalità, di costume, di prassi, di stile di vita. E non solo a livello privato, ma anche pubblico. Non fosse altro per il fatto che da noi la corruzione tende a diventare abituale, a farsi sistema, ambiente di azioni pianificate, fino a diventare vera e propria cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare. Si possono così comprendere più facilmente anche le parole di papa Francesco là dove parlando di misericordia e perdono di Dio sembra escludere i corrotti.
La verità è che il papa in riferimento ai corrotti introduce una distinzione importante tra peccatori che «si convertono» e peccatori «il cui cuore è indurito», quasi fissato su prassi e comportamenti che fanno della corruzione un costume, una pratica abituale, magari appellandosi al ben noto ritornello: così fan tutti.
Più che perdonata la corruzione va dunque contrastata, combattuta, e se necessario recisa, asportata, trattandosi di un cancro che rischia di andare in metastasi e diventare mortale non solo per le persone che la praticano, ma anche per la nostra società tutta intera.

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