Franco Cerilli non ha dubbi: «La serie A? Tanto fisico, poca tecnica»

Ottobre ’53, di Chioggia, Franco Cerilli ha giocato via via con Chioggia Sottomari
na, Massese, Inter, Vicenza, Monza, ancora Vicenza (nel famoso Real Vicenza, quello del secondo posto dietro la Juventus nella stagione 1977-78), Pescara, Padova (tre stagioni, due in C1 e una in B; 97 complessivamente le sue presenze in biancoscudato) e infine di nuovo Vicenza. Allena attualmente il Nuovo San Pietro (seconda categoria, girone L).

Franco Cerilli non ha dubbi: «La serie A? Tanto fisico, poca tecnica»

«Di allenamenti ne facciamo due, martedì e giovedì. Qualche volta al posto del giovedì lo facciamo al venerdì, sono i ragazzi che mi chiedono di cambiare, per andarci a mangiare una pizza tutti assieme, va bene così, non cambia nulla. Da Chioggia prendo il vaporetto per tempo, mi piace arrivare prima, prepararmi per bene. Pronti alle 19 e ci si allena lì a San Piero in Volta, su quel nostro campo che dà sulla laguna».

«Poi hanno ricavato un altro spazio più piccolo dietro a una porta e insomma facciamo tutto lì, anche le altre squadre, i tesserati sono sui 120, già da novembre il campo è quello che è, ma non c’è altro. In squadra ho tutti ragazzi dell’isola e a questo ci tengono, un qualcosa che li unisce e li motiva ancor di più, trovo che caratterialmente siano forti».

Ottobre ’53, di Chioggia, Franco Cerilli ha giocato via via con Chioggia Sottomarina, Massese, Inter, Vicenza, Monza, ancora Vicenza (nel famoso Real Vicenza, quello del secondo posto dietro la Juventus nella stagione 1977-78, foto in alto), Pescara, Padova (tre stagioni, due in C1 e una in B; 97 complessivamente le sue presenze in biancoscudato) e infine di nuovo Vicenza. Allena attualmente il Nuovo San Pietro (seconda categoria, girone L).

«Sono ormai 50 anni che sono dentro il calcio e i posti dove andare ad allenare cerco sempre di sceglierli: la priorità è che mi facciano lavorare come voglio io, così che possa divertirmi. Sì, per me il calcio deve essere prima di tutto divertimento e poi ci vuole passione, dai, il fatto che ci sia qualcuno che prende qualcosa o altri proprio nulla, viene dopo. Ho ben presente il livello che siamo, Seconda categoria, loro che arrivano al campo dopo il lavoro, magari proprio stanchi, giornata faticosa e sono il primo a dir loro di mettersi lì in coda, di stare attenti a loro stessi, di prenderla con calma».

«Non sono certo un “sergente”, sfido ci sia qualcuno che in tutti questi anni mi abbia sentito gridare.
Glielo dico sempre che io là sono a loro disposizione, basta che vengano a bussare da me se c’è qualcosa che non va e io apro. Soprattutto ci deve essere sincerità, come dire, onestà: preferisco che mi dici che non vieni all’allenamento perché vai con gli amici, però non venirmi poi a raccontare delle storie».

«No, non mi capita di sentirmi di un altro mondo, di non essere in sintonia. Lì dentro al campo per forza di cose ti senti “giovane”; li guardo, li ascolto, li prendo anche in giro, ora lì per esempio che arrivano con quei jeans tutti rotti, sono di moda dicono e io a dir loro che se mi presentavo a casa in quelle condizioni, certo che mi prendevo le mie. Ma non mi pare siano cambiati da un tempo, sempre ragazzi sono e da parte mia la presunzione è quella di poter dire che ancora adesso c’è chi mi chiama, si fanno vivi e certo qualcosa vuol pure dire».

«Quel che cerco soprattutto di fare è che giochino a calcio, che ci provino sempre.
Negli anni ci sono stati dirigenti dubbiosi, mi dicevano mister forse è meglio palla lunga e via, ma io sono sempre dell’idea che chi gioca meglio alla fine vince. Chiaro, ci vogliono i giocatori, la loro qualità, non è poi tanta per me la percentuale per cui conta un allenatore. Per quel che vedo adesso in giro, forse ora ce n’è meno di tecnica e ho l’impressione che pure di passione ce ne fosse più un tempo».

«Il calcio professionistico, la serie A eccetera, lo seguo poco e anche non mi piace molto: troppo fisico, poca tecnica.
Penso ai settori giovanili, a quel che adesso insegnano, prima viene la tattica e se magari fai presente che ci sarebbe un ragazzino che varrebbe la pena di seguire, la prima domanda che ti fanno è quanto è alto...»

«Anche guardando le ultime partite della Nazionale, vedo atleti che per quanto corrono dovrebbero andare a fare le maratone... ma il pallone? Anni fa le Nazionali avevano il problema di quali calciatori tecnici scegliere, ricordo Beccalossi con Bearzot che non lo portò al Mondiale dell’82; ora il problema è invece di trovarne di validi».

«Per me è una questione di settori giovanili, dovrebbero essere dati in mano a persone competenti, con allenatori che dovrebbero pensare a far crescere i ragazzini, a migliorarli, invece di star lì a ricordare sempre quel che loro hanno vinto, di qui e di là.
Con i genitori? Beh, in effetti qualche problemino l’ho avuto quando ero a Chioggia, una scuola calcio; allora ho preferito lasciar stare, passare con gli adulti, mica ci sono genitori in giro con loro».

«No, no, non gioco più, per carità. Meglio stare a guardare, anche perché qualche problema alle ginocchia ce l’ho: l’anno scorso avevo pure provato a giocare un po’, ma quanto mi ci è voluto per recuperare…».

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