Terra terra… Stare “nel mondo” o “sul mondo”, questa è la scelta

La nostra esistenza è possibile ridurla a una questione meramente “grammaticale”: essere o avere. Presente, passato e futuro. Ciò che siamo e quanto ci circonda è regolato da questa ineffabile regola: flessibile e irremovibile. Con dolore e gioia. Sorpresa e delusione. Successo o fallimento. Anche se poi la storia ci dimostra che “tutto scorre”, “tutto torna e si trasforma”. Filosofia a parte, la ciclicità della vita resta un fatto ineluttabile e inevitabile. Il divenire dell’essere si abbandona al tempo, lo stesso che partorisce i cicli stagionali. 

Terra terra… Stare “nel mondo” o “sul mondo”, questa è la scelta

Interpretando questo (o meglio ciò che oggi delle stagioni resta), percepiamo lo scorrere del tempo dentro e fuori noi, nell’hic et nunc (qui e ora) di latina memoria.
Per facilitarci l’opera di comprensione, ci siamo ispirati ai tempi atavici alle stagioni: il seme della nascita è associato alla primavera. L’estate alla crescita e l’autunno alla maturità. Fino all’inverno che chiude il cerchio della vita.
Concezione bucolica, ma anche espressione di chi si sente parte del mondo. Elemento tra gli elementi. Energia tra le energie. Forza tra le forze. È il principio biologico fondante, per cui il nostro corpo materiale è parte di un macrocosmo che decapita l’antropocentrismo (uomo al centro del cosmo), che ha fatto più male che bene. Evidenza che c’invita tutt’oggi all’umiltà, considerandoci parte del tutto, senza essere tutto.

È sufficiente, allora, fare una passeggiata, ammirando il paesaggio per comprendere come il nostro incedere sia poca cosa se ci confrontiamo con il molto ciò che ci circonda.
«Ci sono più cose in cielo e in terra di quanto l’uomo possa immaginare», come diceva il filosofo. Ma spesso lo ignoriamo. Di giorno come di notte tutto è immensamente più grande di noi.
Ci fu però un periodo storico quantomai tragico, tra il 1100 e il 1200, in cui catari e albigesi (la cui etimologia s’ispira alla purezza) dicevano che tutto ciò che stava fuori dall’uomo, ovvero la materia, era peccaminoso. Mentre solo quello che è spirituale sarebbe cagione di bene. Un retaggio di quel pensiero che qualche secolo prima portò alla sconfitta del paganesimo e del suo pantheon di divinità agresti (fauni, fate, ecc), figli del mito e del simbolo delle origini. Immagini di un mondo per spiegare questo mondo.

In questa evoluzione storico-spirituale-culturale, l’uomo comunque percepiva se stesso come parte del mondo.
A seguire poi arriverà chi bolla tutto ciò come “male, impurità, peccato ed eresia”. E fu strage. Contemporaneamente però, nella stessa chiesa ci fu uno come Francesco di Assisi che ripudiando la malvagità della spada, abbraccerà il peso della poetica con il suo Cantico delle creature per rimettere l’uomo dentro il mondo e non al centro di esso.
Questa sottile visione poté allora, e può ancor oggi, soverchiare la prospettiva e l’ordine delle cose. Molti dei nostri errori individuali e sociali, possiamo ricondurli ancora a questa confusione di pensiero che non è affatto estirpata dagli ambienti religiosi o laici che siano.

Pare proprio non si voglia intendere che siamo “canne battute dal vento”.
Polvere o sabbia. E “stiamo (tutti) come d’autunno sugli alberi le foglie”. Capito ciò, anche una passeggiata sul fare della primavera ci potrebbe svelare il mistero profondo della nostra esistenza. Dentro e non sopra questo mondo.

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