Terra terra: per costruire un mondo migliore, educhiamoci al bello

Il paesaggio è indissolubilmente frutto dell’educazione e delle nostre scelte. La storia ce lo ricorda in continuazione. Glissando sui problemi cronici e gravi dell’Italia contemporanea (Genova insegna), il nostro paesaggio quotidiano stesso è intriso di questa regola antropologica. 

Terra terra: per costruire un mondo migliore, educhiamoci al bello

A darci dimostrazioni di come e quanto le scelte “educative” siano o dovrebbero essere alla base della responsabilità verso la terra, ci sono due esempi che si mostrano come il nero e bianco. Ciò che è male o bene. Insensibile e sensibile. Brutto e bello.

Il primo ci porta a Cervarese Santa Croce, in quel fazzoletto di terra di confine dove si erge il medievale castello di San Martino della Vanezza. Uno spaccato di storia circondato, almeno fino a qualche anno fa, da un pioppeto d’impianto che richiamava quella che era la selva che riporta al toponimo di “Selvarese”, dove c’era il retaggio del bosco planiziale antico.
Un luogo che per molti decenni venne lasciato all’incuria, per poi diventare museo della civiltà del Bacchiglione grazie al recupero voluto dalla provincia patavina. Il restauro conservò la struttura del maniero, mentre temporali, esondazioni e vandalismi impoverivano la cornice arborea che lo circondava, conferendogli un’atmosfera di mistero e poesia davvero unica.
Il parco resta a oggi meta incessante di molte famiglie, in cerca di un luogo verde, anche se poco attrezzato, che nel tempo ha visto solo intervento di pulizia degli alberi morti o caduti, senza nuovi reimpianti. Risultato: il castello difeso dalla sua barriera verde, è oggi quasi spoglio.
Il peggio è però arrivato un anno fa con l’autorizzazione della stessa provincia, sovraintendenza e comune di affiancare agli alberi una serie di orrendi pali per l’illuminazione stradale, rispondendo alle esigenze di una festa medievale che si svolge qui una sola volta l’anno. Ciò che resta per tutto il restante anno è una autentica deturpazione del paesaggio, con il castello e i pioppi costretti a convivere con i piloni zincati. Dal bel-vedere di qualche anno fa, la scelta sciocca e per niente armoniosa, ci costringe al “mal-vedere” di oggi che mostra come la decisione di pochi “insensibili” ricada sul futuro di tutti.

Di ben altra natura è la scena di qualche giorno fa nell’orto botanico di Padova, dove trovai una mamma – che seppi poi essere un architetto – seduta su una panchina con in braccio il suo pargolo di appena otto mesi, che serafico sgranava gli occhi sui colori e grandi alberi che lo circondavano.
Un dialogo muto ed essenziale il loro. L’immagine mi portò a dedurre che in realtà quel bambino stava coltivando quello che a molti suoi coetanei viene negato.
Una “educazione” utile per il suo presente e nostro futuro. Una forma semplice ma efficace per “coltivare” la sensibilità delle nuove generazioni.
A confermarmelo ci sono le parole della mamma: «Mi sono fatta l’abbonamento per venire qui ogni giorno e mostrare a mio figlio questi alberi. Vorrei che crescesse con queste immagini!». Una lezione che profuma di alto senso di responsabilità che vale un inchino, e ci offre una boccata d’ossigeno e ottimismo verso il futuro di questa nostra società.

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