Terra terra... se affonda l’Africa, presto o tardi affondiamo tutti

L’incandescente questione dell’immigrazione, è anche e soprattutto una questione di paesaggio! Ragioniamoci assieme: l’affermazione, per inusuale che si mostri, non serva però a rinfocolare le già copiose polemiche, su un fenomeno già ampiamente preannunciato da anni e puntualmente ignorato da chi doveva prevenire e gestire l’acuirsi di una fenomenologia sociale oggi diventata emergenza nazionale. 

Terra terra... se affonda l’Africa, presto o tardi affondiamo tutti

Questione che comunque porta a una inevitabile considerazione: in termini planetari, siamo tutti nella stessa barca, la Terra
Dove non ci si salva più a continenti stagni. Oggi, il villaggio globale ha problemi globali e pretende soluzioni condivise, che però stentano a mostrarsi verso i mutamenti climatici, la povertà, gli integralismi, ecc. Ragion per cui è legittimo pensare che se affonda l’Africa, questa affonderà noi tutti.

Questione di interdipendenza. Di relazioni. D’interessi. Di materie prime, e via elencando
Tanti i problemi, forse troppi per giustificare le illazioni politiche di queste settimane. Ripeto, la questione è globale, cosa che neppure questa bislacca Europa politicizzata stenta a capire.
Ma tutto si riconduce a un paesaggio che muta, e in questa sua mutazione ha pesanti ricadute su ampia scala.

Una guerra, una carestia, lo stesso “land grabbing” – la sottrazione di territorio ai nativi come sta avvenendo in molte realtà per conto delle potenti multinazionali – le lobby delle armi, sono tutti fattori che incidono direttamente o indirettamente sul futuro di un territorio, del paesaggio e dei suoi abitanti.
Tante più guerre e instabilità, significa inevitabilmente più profughi: se lo ricordino i francesi che furono gli araldi della coalizione internazionale (cui partecipò anche l’Italia) contro il regime di Gheddafi. Questo portò al rovesciamento di un potere che oggi si traduce in una situazione esplosiva che travolge anche l’Italia.
Ci si è quindi dimenticati – e non è un caso – che ogni incidenza sociale, geografica e politica ha per un paese ripercussioni che vanno oggi ben al di là dei propri confini. La globalizzazione ha amplificato certe problematiche, così quella che venne battezzata come la “primavera araba”, è oggi è un pezzo di quella “guerra mondiale a pezzi” come la chiama papa Francesco.

Ecco quindi perché la distruzione di un territorio, oltre che essere un fatto dannoso per l’ecosistema, è un dramma sociale che si ripercuote oggi in senso globale
Ciò evidenzia come e quanto la nostra dipendenza e interdipendenza resti legata alla terra che abitiamo.
L’effetto collaterale della distruzione di un paesaggio, che sia culturale, agricolo o sociale, non può che tradursi in esodo biblico. In migrazione. In cammino alla ricerca di “nuove terre”.
Ma questo i nostri politici non lo dicono, inficiando che «un battito d’ali in una parte del mondo, può trasformarsi in un ciclone dall’altra». La Terra resta sì un grande pianeta, ma sempre più sovraffollato.

Alla fine, la cattiva gestione della terra, delle risorse e della sua gente, non può che sfociare in “tempesta migratoria”
L’Europa lo sa, e continua a tacere. Ma di che Europa stiamo parlando?

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