«Re-innamoriamoci di Gesù!». Il vescovo Claudio a Villa del Bosco chiude la visita pastorale nelle parrocchie dell'ex vicariato di Pontelongo

Villa del Bosco. L'incontro del vescovo Claudio con le ultime dodici comunità della visita pastorale nell'anno 2019/20 è andato alle radici della comunità cristiana. Il futuro passa dalla testimonianza personale della fede e dalla comunione che si instaurerà tra i cristiani

«Re-innamoriamoci di Gesù!». Il vescovo Claudio a Villa del Bosco chiude la visita pastorale nelle parrocchie dell'ex vicariato di Pontelongo

La Chiesa di Padova, ogni singola comunità: siamo un cantiere. E oggi è importante saperci stare nel cantiere, studiare bene il progetto, senza avere fretta di arrivare subito al tetto della costruzione, sapendo di avere delle grandi fondamenta alla base. Nella serata di venerdì 28 giugno, nella chiesa dei Santi Nicola e Rocco a Villa del Bosco, la metafora architettonica è stata al centro del dialogo tra il vescovo Claudio e gli operatori pastorali delle dodici parrocchie di Pontelongo e delle ex unità pastorali di Cona e Correzzola.

In quello che è stato il vicariato di Pontelongo (oggi parte del Piovese) è in atto una sperimentazione di quello che potrebbe essere il futuro assetto della Diocesi: il gruppo di parrocchie. Ma don Claudio e i laici impegnati sono andati più in profondità, agli ingredienti base della comunità, «che avrà una vita più condivisa tra tutti e non vissuta solo dal prete». Anzitutto la liturgia, «che comprende anche chi tiene in ordine la Chiesa, occupandosi di chi entra a pregare; chiudere le Chiese fa sempre male». Quindi l’Annuncio e la catechesi: «Fino a poco tempo fa erano mamma e papà a insegnare la fede. Noi preti ci mettevamo qualche elemento di dottrina. Oggi va ripensato come educare alla fede, l’iniziazione cristiana ci sta aiutando». Infine la carità, il cui simbolo più bello per il vescovo è – sorpresa – il ministro straordinario della comunione: «Ogni domenica la comunità si ritrova e porta ciò che ha di più prezioso cioè la fede in Gesù anche a chi è malato e non può essere presente in Chiesa. La carità è anzitutto la comunione tra noi, il farsi carico l’uno dell’altro, l’aiutarci. La comunità che celebra si ricorda di chi non può esserci. È una questione di fraternità».

E poi la domanda chiave per un territorio che conta parrocchie molto piccole, anche al di sotto dei 200 abitanti: «Riusciranno le nostre comunità a essere tutto questo?». Nessuno conosce il futuro, come ha sottolineato don Giorgio Bezze, direttore dell’ufficio diocesano per l’annuncio e la catechesi, ma ciò che conta è che ci «re-innamoriamo di Gesù: la tradizione e l’organizzazione sono finite. Il futuro passa dalla testimonianza personale dei credenti: i giovani crederanno se avranno accanto adulti credibili». Non si tratta insomma di partire da “quanti siamo”, ha sottolineato il vescovo: «Non c’è un numero minimo fissato. Partiamo piuttosto dalla chiamata di Gesù. Le nostre saranno comunità fragili, piccole, imperfette, con molti meno mezzi. Qualcuno si chiederà: “Che cosa succede se manco io?”. Ecco, anche questa è la chiamata di Gesù. Siamo cristiani anche per il servizio che svolgiamo, per i piccoli “sì” detti ogni giorno». Sulla stessa linea don Gianandrea Di Donna, direttore dell’ufficio per la liturgia: «Questo edificio, anche se è una chiesa di campagna, è armonico, essenziale bello: non manca di nulla. Anche le nostre comunità sono chiamate a essere armoniche, complete e belle, anche se piccole. Come? Sarà la formazione a renderci dei bravi architetti».

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