Il vescovo a confronto con i giovani sulla Chiesa del futuro

Il bar in piazza è pieno come al solito il sabato sera, ma per una volta c'è qualcosa di diverso a  Bigolino. Una trentina di giovani si ritrovano in patronato, per incontrare il vescovo in visita pastorale.

A rileggerle tutte insieme, le loro domande dicono di un disagio, raccontano una fatica: che non è quella di dirsi cristiani, ma di sentirsi accettati e valorizzati nel proprio modo di vivere la fede. Dai coetanei che stasera hanno scelto altri luoghi d'incontro, ma prima ancora dagli adulti. E perfino dai parroci.

Il vescovo a confronto con i giovani sulla Chiesa del futuro

Si inizia cantando e pregando: Signore, ti preghiamo di non far finire tutto qui, di intraprendere un cammino insieme. 

Siamo un gruppo di giovani che crede nella comunità e crede in te. E che aspetta risposte non scontate, non banali. Perché le domande, in fondo, sono quelle di sempre. Ma ogni generazione le vive a modo suo e deve trovare la sua risposta.

A rileggerle tutte insieme, dicono di un disagio, raccontano una fatica: che non è quella di dirsi cristiani, ma di sentirsi accettati e valorizzati nel proprio modo di vivere la fede.

Accolti dai coetanei che stasera hanno scelto altri luoghi d'incontro, ma prima ancora dagli adulti. E perfino dai parroci.

E allora si parte da qui, dalle guide della comunità.

«C'è chi cancella attività e iniziative, senza dare risposte, “perché non si può e basta”. E un giovane che deve fare? Andarsene, magari dai frati lì vicino?». No, risponde il vescovo, i conflitti li dobbiamo abitare, starci dentro, non scappare via. E dobbiamo farlo imparando a dialogare, trovando modalità di confronto positive, sforzandoci anche di capire le ragioni dell'altro. Serve tempo, d'altronde il rapporto tra generazioni è sempre stato difficile e un adulto è tale se difende i suoi valori nei confronti dei giovani, dando loro dei riferimenti con cui confrontarsi.

Più dei rifiuti, a conti fatti, sarà il caso di preoccuparsi del disinteresse.

«In parrocchia ci sentiamo soli – spiega un'altra ragazza – Ma come possiamo metterci a servizio, fare gli educatori, se gli adulti mostrano di non crederci?».

«È difficile – concorda il vescovo – In questo momento gli adulti devono ripensarsi e rigenerarsi, perché oggi siamo tutti messi alla prova nella nostra identità: viviamo di tradizione e nostalgia, o è tempo di creare e inventare? Bisogna interrogarsi su che comunità vogliamo essere, perché cosa saremo tra vent'anni dipende da noi, da quel che facciamo oggi».

Detto che non è facile trovare spazi nel confronto col mondo adulto, a vent'anni quel che pesa di più è sentirsi emarginati dai coetanei.

Questa è forse la grande differenza rispetto al passato: ormai dirsi cristiani significa cantare fuori dal coro, «ti isola, perdi per strada gli amici, ti senti solo. Io non ci rinuncio, ma come posso fare?».

Magari ci fosse una risposta semplice, e non solo per i giovani. L'unica possibile è riconoscere che c'è un eroismo che si dipana anche nel vivere giorno dopo giorno, e che essere coerenti con i propri valori significa anche accettare sacrifici.

E allora, perché? «Perché se abbandoniamo la nostra vocazione, saremo più tristi. Certo, è facile sbagliare, tradire, ma bisogna avere sempre la forza di rialzarsi. Essere cristiani da soli, poi, è più difficile. Allora sono necessarie comunità giovanili, spazi d'incontro e di cammino insieme, per incoraggiarsi e sostenersi. Sapendo che la fede non è un di più, ma è l’essenziale».

C'è anche altro, nella sera di Bigolino, ad esempio l'invito a vivere radicati nella propria terra senza che però campanilismo diventi sinonimo di chiusura. O l'invito a cercare una guida, non solo e non per forza nei preti perché per fortuna ci sono tanti adulti significativi e disponibili a impegnarsi.

Ma l'essenziale è qui, in una rete di rapporti da ritessere, in un'apertura di credito reciproca tra generazioni, nella speranza che il mondo adulto sappia riprendere il suo ruolo di guida e testimone credibile.

C'è soprattutto la speranza di un gruppo di ragazzi che il filo non si spezzi, che quanto seminato dal Sinodo si traduca in spazi e percorsi che aiutino il dialogo di ciascun giovane col Signore. E anche per questa via aiutino un'intera comunità a vivere insieme nella fedeltà al Vangelo.

Perché poi, alla fine, questo è quel che conta davvero. Il resto è sempre un mezzo, mai un fine.

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