Al Pilastrello Maria è madre di umanità

A Lendinara si trova il più venerato santuario polesano, luogo di fede e preghiera e di riconciliazione con Dio

Al Pilastrello Maria è madre di umanità

È il santuario più amato del Polesine, ma lo visitano ogni anno migliaia di fedeli anche da fuori provincia. Quello del Pilastrello a Lendinara non è solo un santuario, per le “genti dell’Adige”, sulle cui sponde sorge: è una casa.

«Ho vissuto il santuario fin da quando ero qui come giovane monaco – racconta padre Christopher Maria Zielinski, abate del Pilastrello – e continuo a riscontrare nei fedeli lo stesso desiderio di ritrovare un luogo di preghiera e di silenzio, dove vivere un rapporto quasi materno con Dio. Che, come diceva papa Luciani, è padre e madre. Qui i fedeli incontrano subito lo sguardo di questa donna e madre che è Maria, la Madonna nera, con i suoi occhi neri spalancati sull’umanità. È un’esperienza anche visiva, che si sente nel corpo, avvolti nel silenzio e nella pace. Questo è ciò che cercano oggi l’uomo, la donna, il bambino e l’anziano, il malato e il sano».

Ogni santuario mariano, forse, potrebbe dire di sé cose simili. Ma è bello, in tempi grigi, sentire un abate affermare e ribadire con orgoglio l’umanità della “sua” chiesa. E ricordare quasi con commozione il giorno in cui persino una donna musulmana entrò al santuario per presentare i suoi figli a Maria.

«In chi arriva qui – prosegue l’abate – emerge soprattutto la necessità di ritrovare Dio e stare con il Signore, di percepire un Dio meno duro, meno forte. La maternità di Dio si manifesta attraverso sua madre, che ci accompagna ai misteri di Cristo, come ci insegna Luigi Maria Grignion de Montfort. Gesù è sempre al centro, Maria è il grembo che ci porta la buona novella della salvezza, il Cristo redentore. Attraverso la sua obbedienza, l’ascolto, la tenerezza, ci rivela chi siamo».

Tutte le feste e i misteri mariani sono celebrati al Pilastrello con grande solennità, vengono qui fedeli dal Polesine ma anche da fuori regione. È un santuario anche un po’ padovano: sorge a pochi metri dall’Adige, che traccia il confine tra le due province. Da tutte queste zone si va al Pilastrello sia per le quattro messe giornaliere, cinque alla domenica, sia per il sacramento della riconciliazione: c’è sempre un monaco disponibile, la confessione diventa spesso un colloquio. Per il padre abate, il ministero dell’ascolto è il più importante, per un monaco. «L’altro, è Cristo; ognuno che arriva, è Cristo. E san Benedetto ci dice di aprire le orecchie del nostro cuore» sottolinea padre Zielinski.

In questo periodo di virus, le persone arrivano ancora? «Da febbraio non abbiamo più visto un solo pullman, ma si riempiono i parcheggi. Le persone vengono ancora, ma hanno paura, sono preoccupate, hanno bisogno di sicurezza e di nuova aggregazione. E si aggregano con grande facilità attorno alla Madonna, alla madre che protegge il proprio figlio, il massimo. Qui, e nei santuari in tutto il mondo, che sono un grande dono che il cattolicesimo offre alla cristianità».

La devozione mariana, la statua e la fonte di acqua miracolosa
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Il santuario del Pilastrello sorge a Lendinara ed è retto dai monaci della Congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto, chiamati nel 1578 dal Consiglio di Lendinara. La sua costruzione era iniziata il 26 agosto 1577, ma la sua storia inizia nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1509, quando una tempesta scaraventò una statua della Madonna con Bambino su una siepe. Fu ritrovata il giorno dopo, abbagliante di splendore.

Fu questo il primo miracolo, altri ne seguirono. Nel 1576 l’acqua di una vicina fonte che doveva impastare la calce per costruire il capitello che doveva ospitarla, divenne color del sangue. L’anno dopo iniziò la costruzione del vero e proprio santuario. La fonte ancora oggi sgorga in una cappella laterale del santuario e i fedeli vi attingono acqua per berla e portarla a casa.

Dal 1578 i monaci benedettini non hanno mai lasciato il santuario, tranne nel periodo della soppressione forzata: il 29 ottobre 1771 lo lasciarono per decreto della Repubblica Veneta ma vi fecero ritorno nel 1905, dopo 134 anni. Nel gennaio del 1911 papa Pio X elevò il santuario al rango di basilica minore; il monastero fu eretto in abbazia il 15 dicembre 1920 da papa Benedetto XV.

Ancora oggi il Pilastrello è il riconosciuto cuore spirituale del Polesine, meta di pellegrinaggi da tutto il circondario. Il santuario è dedicato alla Natività di Maria, che si celebra l’8 settembre, ed è al centro di una secolare fiera in onore del Pilastrello che si tiene la prima metà di settembre. È aperto tutto l’anno dalle 6.45 alle 12 e dalle 15.30 alle 19. Tutti i giorni ci si può confessare e partecipare al santo rosario alle 17.30. Vespri e adorazione eucaristica le domeniche (escluso luglio e agosto) alle 16.30. Per contatti, il telefono è 0425-642349.

Da visitare. Dal Veronese al Ribera, la chiesa è scrigno d’arte

Il santuario di Santa Maria del Pilastrello – il cui nome potrebbe derivare da un pilastro che reggeva la statua, ma per alcuni rinvia al santuario del Pilar di Saragozza – è considerato il tesoro artistico, oltre che religioso, di Lendinara. La statua lignea della Madonna con Bambino, posta dietro l’altare maggiore, risaliva al 1509 ed era alta poco più di trenta centimetri, originariamente ottenuta da un unico pezzo di legno d’ulivo, di colore scuro, da cui quindi il nome di Madonna Nera con cui venne chiamata: fu rubata nel 1981 e sostituita da una copia.

La statua raffigura la Madonna come Madre e Regina, seduta in trono, con la corona in capo mentre tiene in braccio il Bambino Gesù, pure incoronato e in atto di benedire come Maria.

Già dal 1576 appariva vestita sgargiatamente in segno di onore, ma anche per nascondere un rustico incavo dalle spalle alla base del trono.

La chiesa fu rimaneggiata più volte tra Sette e Novecento, ed è a tre navate. Tra le perle artistiche conserva opere dell’Angeli, allievo del Piazzetta, un’Ascensione del Veronese, una pala di Jacopo e Domenico Tintoretto, una tavola con san Pietro di scuola dossesca (secolo 16°), un sant’Andrea del Ribera e molte altre.

Nella navata sinistra si trova l’ingresso al cosiddetto Bagno, anch’esso più volte rimaneggiato, con la fonte miracolosa e una vasca monolitica di inizio Novecento.

La cittadina polesana. Tra chiese e palazzi storici sulle rive del fiume Adige

Cittadina di antica origine – la leggenda vuole che sia stata fondata addirittura da Antenore, prima che l’esule troiano giungesse a Padova – Lendinara è detta “Atene del Polesine” e non offre ai turisti il solo santuario. Da citare è il duomo, di origine millenaria ma rifatto nel Settecento, come pure la neoclassica chiesa di San Biagio che conserva un oratorio del Duecento, e tele dello Zanchi, del Lazzarini e di Andrea Vicentino. Di origine quattrocentesca sono le chiesa di Santa Maria e Sant’Anna, del Cinquecento quelle di San Giuseppe e San Rocco.

Al centro del paese sorge palazzo Pretorio, trecentesco, nato come castello e affiancato dalla torre Maistra: vi trova sede l’annuale e visitatissima mostra di presepi. Alla stessa epoca risale il municipio, eretto dagli Estensi, con facciata in mattoni e, al piano terra, un porticato ad arcate sorrette da colonne in marmo. In una nicchia tra due finestre trova posto una statua del 1618 che riprende quella della Madonna del Pilastrello. All’interno, conserva una grata monacale lignea a intaglio e traforo in stile gotico, del 1447, opera dei fratelli Lorenzo e Cristoforo Canozi.

A Vincenzo Scamozzi è attribuito palazzo Ca’ Dolfin Marchiori, dotato di parco in stile romantico, dove soggiornarono Garibaldi e il poeta Umberto Saba. Da citare anche il teatro Ballarin, magazzino cinquecentesco trasformato, nell’Ottocento, in teatro popolare.

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