Camminare insieme, nella parola. Il ruolo del presbitero tra Torah e Vangelo nel recente libro di Cristiana Dobner

Un libro che rappresenta un valido aiuto a chi è al servizio duplice della Parola - che è anche realtà - e dell’altro, e che deve fare i conti non solo con i riti e le povere umane parole, ma con la dimensione del dolore o della perdita.

Camminare insieme, nella parola. Il ruolo del presbitero tra Torah e Vangelo nel recente libro di Cristiana Dobner

Il cammino del presbitero oggi è segnato non solo dalla contemporaneità, dai problemi che questa pone al sacerdote, e, come vedremo, non solo a lui, ma anche da una tradizione che viene da lontano. Dalla Torah, ad esempio, e da quei contributi che hanno preceduto il sentiero cristiano. La necessità del loro recupero per ridare linfa a chi è chiamato a guidare l’altro, ma che ad un Altro, a sua volta, chiede spirito di profondità e capacità di amare, è approfondita da “L’Amico parla all’amico. La figura del presbitero oggi tra Torah e Vangelo” (Effatà, 196 pagine, 15 euro) di Cristiana Dobner, triestina, carmelitana scalza a Concenedo di Barzio, Lecco.

Sono pagine che raccolgono le meditazioni dettate nel corso di esercizi spirituali nel novembre 2019 ai sacerdoti della diocesi di Chieti-Vasto di cui è arcivescovo mons. Bruno Forte, estensore della prefazione. Pagine di grande intensità in cui suor Cristiana si prefigge il compito di recuperare non solo una traditio ma anche una fiamma che non è attingibile solo con la cultura o la conoscenza delle glosse testuali, ma scaturisce dal cuore e dalla compassione, da un amore-amicizia che investe l’umanità e ne condivide ansie e dolore. Perché anche il dolore può essere portatore di bene, in quanto “ogni inciampo, che pure rimane inciampo, possiede un grande dono sotteso: l’Altissimo vi è presente e guida colui o colei che è inciampato/a su di una strada diversa, magari imprevedibile”, scrive suor Cristiana, recuperando il cammino che ha portato al cohen, il sacerdote che discende da ‘Aharon, e al presbitero. Perché quello che è fondamentale è che non si tratta di delineare una nazione, ma un popolo, una identità di fede e non una coesione razziale, in quanto, nota ancora la Dobner, “anche nel mondo pagano esiste una preparazione al Vangelo”, in un cammino attraverso il quale passa la ricerca di un Dio non dèmone o idolo, cui sacrificare per, ma un’origine cui tendere e a cui chiedere compagnia nel percorso.

Quello che cerchiamo non è un contratto in cui a un tanto di preghiere corrisponde un tanto di grazie, ma qualcosa di radicalmente diverso. E qui emerge il senso dell’amicizia di cui parla l’autrice e a cui alludeva Carlo Maria Martini in “Una voce profetica nella città”, le cui parole sono qui riportate: il senso di una comprensione profonda e di consolazione anche nella disperazione, quando un dio sentito, anche nella notte, come amico e solidale ci rende in grado di essere a nostra volta consolatori. Solo il sentire profondo mette il presbitero nella condizione di “dare parole di consolazione”, come scriveva Martini. Se il presbitero dovesse cadere nella tentazione della disperazione per non riuscire a stare accanto al sofferente, ecco che viene in aiuto la tradizione dei Maestri d’Israele, che ricorda le parole del Santo “Io sono con lui nell’angoscia”.

Un libro che rappresenta un valido aiuto a chi è al servizio duplice della Parola – che è anche realtà – e dell’altro, e che deve fare i conti non solo con i riti e le povere umane parole, ma con la dimensione del dolore o della perdita, che con quelle umane parole non riescono ad essere detti fino alla radice del senso: è la condivisione che fa aprire l’altro alla speranza. E che ci fa capire come l’aiuto dall’altro e all’altro venga dalla condivisione e dal cuore, dalla partecipazione attiva, anche a costo del sacrificio della nostra quiete e del nostro tempo.

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Fonte: Sir