Como continua ad aprire le porte nel ricordo di don Renzo Beretta

Vent’anni fa l’uccisione, per mano di un immigrato che si era rivolto a lui per chiedere aiuto, di don Renzo Beretta, parroco di Ponte Chiasso, al confine con la Svizzera. Oggi, a distanza di due decenni, il lancio di un nuovo progetto della Caritas diocesana finanziato dai fondi Cei 8 per mille per continuare a seguire il suo esempio

Como continua ad aprire le porte nel ricordo di don Renzo Beretta

“Don Renzo non era il prete dei migranti, era il nostro parroco, un sacerdote sempre con il Vangelo in mano e con due parole fisse sulle labbra: la prima era ‘dimmi’ e la seconda ‘grazie’”. A ricordare la figura di don Beretta, il parroco di Ponte Chiasso ucciso da un uomo che si era rivolto a lui chiedendo aiuto è Roberta Cavadini, una delle sue più strette collaboratrici di quegli anni. Era il 20 gennaio 1999, vent’anni fa, quando il sacerdote cadde sotto i colpi di un immigrato di origine nordafricana che non aveva accettato “ritorna dopo” come risposta: uno dei tanti che in quei mesi aveva bussato alla sua porta. In quel momento, però, don Renzo non poteva, era impegnato nelle attività della parrocchia e gli aveva chiesto di ritornare. Caduto a terra sotto il colpo di un coltello il sacerdote riuscì a dire a chi l’aveva soccorso: “Non è nulla, voleva solo spaventarmi…”.

Per capire cos’era Ponte Chiasso in quegli anni bisogna guardare altrove, ai Balcani, ancora sconvolti dalla guerra. Migliaia di kosovari cercavano la fuga verso la Svizzera e si ritrovavano a Como davanti ad un confine chiuso. “Molti arrivavano a bussare alle porte della parrocchia con in tasca un biglietto con scritto don Renzo”, ricorda la parrocchiana.

Per loro, come per i profughi libanesi alla fine degli anni ottanta e per gli albanesi nei primi anni novanta, don Renzo aveva cercato di fare posto. Non da solo, ma con l’aiuto di decine di volontari. Esauriti i posti nei locali della parrocchia, materassi avevano riempito le navate laterali della chiesa, persone a dormire sulle panche.

I numeri crescevano e con essi anche la preoccupazione delle autorità e le proteste di molti, anche all’interno della stessa comunità. A loro don Renzo si rivolse, pochi mesi prima di morire, con una lettera in cui scriveva: “L’inverno è alle porte. Non sono un romantico: siamo persone, siamo cristiani, conosciamo il detto del Signore: ‘Quanto hai fatto a uno di questi, l’hai fatto a Me’. Io, prete, qui, devo essere, almeno, la Sua Ombra… Non posso barare. E chi, e quale legge ci può impedire di ‘aiutare’ questa gente allo sbando?”.

Sono passati vent’anni, ma quella parole a Como continuano ad essere di un’attualità disarmante. Perché la città continua ad essere terra di frontiera e il flusso di migranti diretti verso la Svizzera, dopo il picco del 2016, quando il parco della stazione si trasformò in un grande campo profughi, si è certamente ridotto ma non arrestato. Le associazioni impegnati nell’accoglienza parlano di circa 200 migranti ancora presenti in città fuori dal sistema di accoglienza. In cinquanta dormono ogni notte nella tensostruttura allestita nel chiostro del Centro pastorale card. Ferrari. Altri sono nei dormitori pubblici, altri ancora in case abbandonate e rifugi improvvisati.

Non è un caso allora che la Caritas diocesana abbia deciso di presentare, proprio in occasione del ventennale della morte di don Renzo, il progetto “Como città di Confine” realizzato grazie ad un contributo di 198mila euro stanziati da Caritas italiana attraverso il Fondo Cei 8xmille, a cui si aggiunge un contributo di 50mila euro della Caritas diocesana che porta il valore totale del progetto a 248mila euro.

“Questo progetto ci permette di fare un notevole salto di qualità”, sottolinea il direttore della Caritas Roberto Bernasconi. “Al di là delle realizzazioni concrete che andranno a potenziare i servizi Caritas già operanti in città sul fronte della grave emarginazione – continua Bernasconi – è confortante prendere atto che il libero sostegno di tanti cittadini alla Chiesa cattolica – attraverso l’8xmille – mette al centro l’attenzione sui problemi di carattere sociale che investono le nostre comunità e ci dà la forza di creare nuove azioni concrete di carità sul territorio”.

La parte più consistente del finanziamento, quasi 120mila euro, andrà a coprire i costi dei nuovi operatori, assunti per rinforzare i servizi cittadini sotto pressione per la crescita degli utenti registrata a partire dall’estate 2016: il servizio Porta Aperta, intitolato proprio a don Renzo Beretta, vedrà nascere un apposito “sportello migranti”, la mensa di via Lambertenghi attivata nell’estate 2017, da cui sono transitate quasi 2.000 persone in un anno e mezzo, verrà rafforzata, così come il nuovo dormitorio allestito dai Comboniani, che vedrà l’aggiunta di 7 stanze singole per percorsi di avviamento all’autonomia.

“Tutte queste azioni – precisa Massimiliano Cossa, direttore della Fondazione Caritas Solidarietà e Servizio (realtà che gestisce operativamente i servizi) – vanno nella direzione di promuovere una maggior vicinanza umana nei confronti di quelle persone, nella maggior parte dei casi migranti, che si trovano a transitare nella nostra città”.

Il 20 gennaio, nel giorno dell’anniversario, il vescovo di Como Oscar Cantoni presiederà una messa nella chiesa di Ponte Chiasso alle 17.30 mentre, poche ore prima, una marcia per la pace percorrerà le vie della città, anche nella memoria del sacerdote che, nel suo testamento spirituale, scrisse: “Quello che ancora ho, non mi è mai appartenuto. Ho ricevuto tutto, tutto appartiene a chi è nel bisogno”.

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Fonte: Sir