Cristiani perseguitati, il mondo è indifferente

Aiuto alla Chiesa che soffre ha presentato il suo rapporto sulla libertà religiosa. Sono quasi 300 milioni i cristiani che vengono discriminati, sono vittima di violenze e spesso perdono la vita per la loro fede. Un dramma che prosegue nel silenzio. C’è una cortina di indifferenza dietro la quale le vulnerabili comunità di fede continuano a soffrire, ignorate dall’Occidente.

Cristiani perseguitati, il mondo è indifferente

Nel mondo quasi 300 milioni di cristiani – uno su sette – vivono in un Paese di persecuzione e continuano a essere il gruppo religioso più sottoposto a violazioni di diritti umani, soprusi e violenze. È la dura denuncia che emerge dalla XIV edizione del Rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), che prende in esame il periodo giugno 2016/giugno 2018 identificando 21 Paesi in cui è in atto una vera e propria persecuzione e altri 17 in cui i cristiani soffrono di palesi discriminazioni.

Tra le tendenze più preoccupanti fotografate dal report, c’è l’emergere di un ultra-nazionalismo che ritiene le minoranze confessionali una minaccia per lo Stato, esasperazione del precedente nazionalismo ostile nei confronti dei gruppi religiosi. Un fenomeno presente soprattutto in India, Cina, Corea del nord, Pakistan, Myanmar. 

In India, riferisce lo studio, tra il 2016 e il 2017 gli attacchi anticristiani, principalmente da parte di gruppi estremisti indù, sono quasi raddoppiati, raggiungendo quota 736. Le minoranze sono «una minaccia per l’unità del Paese», ha di recente dichiarato un membro del Parlamento nazionale. In Cina l’ultra-nazionalismo si manifesta come «generale ostilità dello Stato nei confronti di tutte le fedi». Di qui le misure restrittive assunte dal regime del presidente Xi Jinping tra cui la proibizione della vendita on line della Bibbia, e la distruzione o il danneggiamento tra il 2014 e il 2016 di oltre 1.500 chiese. 

In Corea del nord, Paese che nega la libertà religiosa e nel quale si stima migliaia di cristiani siano detenuti in campi di prigionia, la religione è considerata una grave minaccia al «culto personale» della dinastia Kim. In Pakistan gli estremisti islamici si oppongono fermamente alle modifiche alla controversa legge sulla blasfemia. Critica la situazione delle minoranze religiose anche in Eritrea, Iran, Tagikistan e Turkmenistan. In Myanmar, da settembre 2017 quasi 700 mila musulmani Rohingya sono fuggiti in Bangladesh; una crisi definita dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani «pulizia etnica da manuale». In Turchia l'agenda nazionalista del presidente Erdogan mira ad affermare l'Islam sunnita.

Se in alcuni Paesi «sono diminuite le violazioni della libertà religiosa da parte di gruppi islamisti, questo tipo di violenze si è inasprito altrove», osservano Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente presidente e direttore di Acs-Italia. La disarticolazione sul piano militare dell’Isis in Iraq e in gran parte della Siria, ad esempio, «è una grande opportunità, ma c’è il rischio di sottovalutare la minaccia che tuttora rappresenta». Intanto si sono affermati altri movimenti militanti islamici in Africa, Medio Oriente e Asia. Se in Nigeria Boko Haram sembra perdere terreno, sono però aumentate le violenze dei pastori islamisti fulani contro i cristiani; il Niger è accerchiato da diversi gruppi islamisti: proprio in quest’area è avvenuto il recente rapimento del missionario padre Pierluigi Maccalli. Il fondamentalismo islamista agisce anche in Indonesia, dove il 13 maggio 2018 gli attacchi a tre chiese a Surabaya hanno causato 13 vittime, ma a soffrire sono anche buddisti e musulmani sciiti. In Bangladesh sono stati uccise in un attacco 22 persone. Drammatica, prosegue il report, la situazione della comunità cristiana in Palestina.

Negli ultimi sei anni i cristiani a Gaza sono diminuiti del 75 per cento: da circa 4.500 a 1.000. Tra il 2016 e il 2018 in Egitto si sono registrati cinque gravi attentati; l’ultimo, lo scorso 2 novembre, al bus di pellegrini copti a Minya. Un’ulteriore piaga che affligge la comunità cristiana egiziana è il rapimento e la conversione forzata all’Islam di adolescenti, ragazze e donne cristiane. Sono almeno sette le ragazze rapite nell'aprile 2018, stessa sorte che spetta ogni anno a circa mille ragazze cristiane e indù in Pakistan.

Una situazione resa ancor più difficile, come evidenzia il report, dalla «cortina di indifferenza» dietro la quale «le vulnerabili comunità di fede continuano a soffrire», ignorate «da un Occidente secolarizzato». La maggior parte dei governi occidentali non ha infatti fornito «l’assistenza necessaria» alle «comunità di sfollati che desiderano tornare a casa nelle rispettive nazioni dalle quali sono stati costretti a fuggire».

In Iraq ad esempio, ricorda Acs, lo scorso giugno sono ritornati a Qaraqosh, nella Piana di Ninive, 25.650 cristiani, quasi la metà degli abitanti nel 2014, ma l’opera di ricostruzione è stata principalmente realizzata da associazioni di beneficenza e organizzazioni della Chiesa, senza le quali «la comunità cristiana nella regione avrebbe seriamente rischiato di scomparire. I governi occidentali, a cui sono stati rivolti appelli e urgenti richieste d’aiuto, hanno deluso le aspettative di cristiani e yazidi, riconosciuti come vittime di genocidio».

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