Don Lucio Nicoletto, fidei donum in Brasile, sui "grandi temi". È una stagione per ricominciare?

Don Lucio Nicoletto, fidei donum della Diocesi di Padova e oggi vicario generale di Roraima (Brasile), racconta il peso di queste settimane segnate dalla pandemia. E lancia anche alla nostra Chiesa una domanda fondamentale: scusa, Signore, cosa volevi dirci? "Mi chiedo quanto la Chiesa abbia approfittato per “ascoltare” questo tempo, questa storia, questa umanità"

Don Lucio Nicoletto, fidei donum in Brasile, sui "grandi temi". È una stagione per ricominciare?

Ci ho messo una decina di minuti prima di decidere se mettere un punto di domanda al titolo di questo articolo o se lasciarlo come mera affermazione. Di sicuro questo tempo di pandemia sta tentando di dirci, quasi di sussurrarci una cosa: «Ascolta!». Non riesco a togliermi dalla testa questo ritornello che ha il sapore di deserti ed eremi lontani e il profumo di uomini e donne che nel corso dei secoli, con i loro silenzi, ci hanno insegnato che la vita comincia con l’ascolto. Il silenzio. Il virus ha pure tentato di farcelo recuperare. Non so con quali risultati. Ma se si fa riferimento all’adagio evangelico: «...dai frutti li riconoscerete...», mi pare di capire che questo virus avrà pure ucciso persone, e molte, ma non credo purtroppo sia riuscito a scalfire molto i cuori. A partire da noi “persone di Chiesa”.

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Da quando sono arrivato in Brasile, ormai da quindici anni, la realtà così diversa, variegata e contrastante che ho trovato, senza nulla togliere alla bellezza del popolo che mi ha accolto, della sua storia, delle sue sfide, speranze e lotte, non ha mai smesso di sussurrarmi: «Ascolta!». Lo sguardo e la presenza di altri fratelli preti e laici che, guardandomi negli occhi o ascoltando il mio cuore, percepivano quanto mi sentissi perso dentro al sottobosco fatto di vie e di case che ho incontrato in periferia a Rio de Janeiro, mi ha aiutato a non schivare mai questa “crisi”, questa rottura che ho vissuto fuori e dentro me.

Questo tempo è una “rottura”? Credo proprio di si... In tutti i sensi. Perché dice fatica. Ascoltare è la cosa più faticosa. Ricordo l’emozione che ho provato nell’ascoltare i primi battiti del cuoricino di mia sorella quando mia mamma è rimasta incinta... Ho fatto una fatica enorme. Ma quando ci sono riuscito… è la storia di noi uomini e donne che ci emozioniamo davanti alla vita che vince la morte.

Che cosa c’era, o che cosa c’è da ascoltare di questo tempo? Tutto. O niente. Dipende dal cuore di chi ascolta, visto che non c’è peggior sordo... Per un prete o un cristiano, ma non solo, uno dei segni più eloquenti di questo tempo di pandemia è stato sicuramente il silenzio insostenibile delle chiese vuote. Al di là del fatto che molte chiese vuote lo erano anche già prima della pandemia, credo sarebbe stato bello ascoltare anche quel silenzio. Forse eravamo troppo occupati a cercare soluzioni per “riempirle” o per piangere “lungo i fiumi di Babilonia” perché: si stava meglio quando si stava peggio!. Anche perché se le chiese sono vuote cosa ci stiamo a fare noi preti a questo mondo?

Mi ha sempre fatto impressione la storia e l’epopea del popolo di Israele davanti alla realtà dell’esilio. I profeti furono la presenza di Dio che camminava con il suo popolo e abitava anche e soprattutto i suoi silenzi, lutti, ferite, speranze. In esilio Israele imparò di nuovo a sentirsi amato e questa esperienza cambiò la sua vita. Ritornare ad ascoltare il soffio della presenza di Dio, che “permette la ferita e la cura”, fu l’esperienza che permise al popolo di comprendere meglio la sua storia, la sua identità e persino il senso del suo essere “popolo sacerdotale”. E la novità era che tutto ciò stava succedendo anche fuori dallo schema delle liturgie del tempio e del dominio delle caste sacerdotali, che nei secoli si erano appropriate del diritto di gestire il sacro “ingabbiando Dio” dentro a una religione fatta di regole e prescrizioni anziché di libertà di rispondere all’amore di Dio con l’amore ai fratelli.

Accompagnando le piccole comunità cristiane alla periferia di Rio de Janeiro, prima, e di Roraima ora, ho conosciuto una realtà che dà un respiro molto ampio all’annuncio della buona notizia di Gesù. Anzi. Loro sono per me questa buona notizia. Soprattutto quando arrivo in una di queste comunità, dopo settimane, mesi o anni (purtroppo) per poter celebrare l’eucaristia. Sentono la gioia profonda del momento di quell’unica messa dopo tanto, tantissimo tempo. Ma la gioia più grande che sperimentano è l’incontro con un Dio che si fa vivo e presente in mezzo a loro quasi a confermare quell’esperienza di fede, quel loro essere chiesa che non si è fermata all’ultima eucaristia celebrata, ma ha continuato oltre il tempo e lo spazio perché l’essere Chiesa è prima di tutto, incontro di cuori!

Dio incontra il suo popolo. Come una madre cerca in tutti i modi di vedere, di incontrare suo figlio. E Dio non ha bisogno sempre di mediazioni umane per parlare al suo popolo. In questo senso è bello sentire come Gesù stesso ci assicura che Lui abita nel cuore del suo popolo: è il Dio con noi; è il Dio in noi! (Mt 28,20). E la Chiesa, il popolo di Dio riunito, nelle case, nelle piazzette, sotto i grandi alberi secolari, rende presente Dio in quelle liturgie che sono la più genuina partecipazione al sacrificio pasquale di Cristo quando diventa impegno a costruire una società più giusta, fraterna e solidale; quando la Liturgia delle ore, preghiera della Chiesa-popolo di Dio, culmina sì nell’atto celebrativo della comunità riunita nella lode al Dio altissimo, ma è pur sempre una lode che comincia nelle case, negli incontri, negli atteggiamenti, nelle lotte per la difesa dei diritti alla propria terra, ad un lavoro per tutti, all’istruzione per dare futuro alle nuove generazioni...

Mi chiedo quanto la Chiesa, italiana o brasiliana che sia, abbia approfittato di questo breve esilio per sedersi e “ascoltare” questo tempo, questa storia, questa umanità. Questo Dio, che è ritornato nelle case anche attraverso mezzi di comunicazione e tutto ciò che la creatività pastorale dei nostri preti ha permesso.

E adesso? Cosa succederà? Sinceramente anche a me verrebbe da correre ad aprire le chiese, per dar aria alle sacrestie, per spolverare e igienizzare e preparare per riprendere... Ma voglio tentare di ascoltarmi dentro e di chiedermi se questa “passione indomita” per ritornare in chiesa a celebrare le “nostre” eucaristie sia dettata veramente dal profondo desiderio di ritornare a Dio o se sia invece la preoccupazione di rioccupare i “nostri spazi”, i “nostri” diritti la nostra fede, il “nostro” Dio. Riconosco che abbiamo tutti bisogno di ritrovarci come comunità che celebra la fede nell’incontro festivo della liturgia comunitaria. Eppure sento che rimane in sospeso dentro di me una domanda che pesa come un macigno: scusa, Signore, cosa volevi dirci?. E chiaro che per capire la risposta ho bisogno di mettermi nuovamente in “religioso ascolto della sua Parola”.

Quante volte chiediamo a Dio dei segni. Ma quanto tempo “perdiamo” per metterci in ascolto e cogliere questi segni? «Ipocriti! Sapete riconoscere l’aspetto del cielo e della terra, ma non sapete riconoscere questo tempo?» (Lc 12,56). Prendiamoci del tempo per ascoltare. Non lasciamoci prendere dalla paura di “perdere” qualcosa: chiese, liturgie, fedeli... Sarebbe più pericoloso se perdessimo Qualcuno!

don Lucio Nicoletto

Un mondo all'insegna della fratellanza

«È urgente una prospettiva umanistica di segno nuovo, dove i saperi convergono per ridisegnare un mondo all’insegna della fratellanza». Così l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, in un dialogo online col ministro Elena Bonetti.

La pandemia aggredisce l'Amazzonia

Il Coronavirus, inesorabile, si diffonde fino alla profonda Amazzonia, e non fa sconti, né in termini di contagi e di vittime, anche tra le popolazioni indigene, particolarmente vulnerabili. I dati sono eloquenti, secondo la mappa elaborata quotidianamente dalla Repam (Rete ecclesiale panamazzonica) e dal Coica (il coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia): 92.870 contagiati e 5.346 morti al 21 maggio scorso.

Un’emergenza che diventa una vera tragedia non solo nelle città più colpite, come Manaus e Belém in Brasile, o Iquitos in Perù, ma anche nel cuore della foresta.

È il caso, per esempio, della cosiddetta triple frontera, il luogo dove si incontrano, lungo il corso del Rio delle Amazzoni, tre Paesi: il Brasile, il Perù e la Colombia. Luogo di commerci e scambi, spesso sporchi, in cui le frontiere sono solo teoriche, come accade tra Leticia, estremo lembo di Colombia divenuta negli ultimi anni meta turistica, e la brasiliana Tabatinga capoluogo dell’Alto Solimões.

Proprio nella triple frontera il Sir si è diretto virtualmente, per raccontare come si vive la pandemia in queste località amazzoniche, dove il virus è arrivato attraverso il grande fiume o per via aerea, da Manaus e Iquitos.

I "grandi temi" di questo tempo ogni settimana sulla Difesa

La "fase 2" è in pienamente corso e già si guarda alle fasi successive. Ma, come scrive il direttore nel suo editoriale in queste pagine, forse vale la pena fermarsi e interrogarsi su alcune questioni. Su alcuni, chiamiamoli così, "grandi temi" di questo tempo. Come Difesa abbiamo scelto, a partire da questa domenica, di mettere nero su bianco un po' di idee per i mesi (e gli anni?) che verranno. Mesi in cui ancora faremo i conti con il Covid-19 e con tutto ciò che ha "prodotto". E allora ci chiediamo: su cosa scommettere per il futuro? Come cattolici e come cittadini... Crediamo che nulla sarà come prima del Coronavirus e che servono idee, solide, per costruire il domani. Insieme! Come sarà la società? E la Chiesa? Proviamo, come settimanale diocesano, a raccogliere un po' di idee su queste e altre domande. Grazie agli esperti che incontreremo ma anche grazie ai contributi dei lettori.

Dopo uno sguardo dall'esterno vogliamo parlare di...

Ci è parso interessante guardare alle "fase 2", in termini di idee costruttive, partendo con uno sguardo dall'esterno. Don Lucio Nicoletto (nella foto) ci permette, leggendo questo tempo dal Brasile, di uscire dai nostri di sempre e volare un po' più in alto. Lo stesso vogliamo fare, anche se con voci più vicine (fisicamente), con le prossime pagine sui "grandi temi". Domenica 14 giugno vogliamo "scommettere" sulla formazione universitaria, mentre domenica 21 ci interrogheremo – sempre con la logica di raccogliere idee per il futuro – su un fronte attualissimo: che Stato sarà domani? E poi, a fine mese, vogliamo guardare a un'esperienza più ecclesiale... ma su questo ci torniamo. Su queste pagine vogliamo che ci siano più voci, a partire da quella dei credenti: cosa abbiamo da dire sui "grandi temi" che questo tempo ci sollecita?

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