Essere discepoli di Cristo significa ritrovarsi fratelli, superare le differenze, la separazione tra schiavi e liberi

Quanti uomini e donne, giovani, bambini “soffrono e sono totalmente privi di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio” afferma Papa Francesco.

Essere discepoli di Cristo significa ritrovarsi fratelli, superare le differenze, la separazione tra schiavi e liberi

Fa effetto ascoltare, dalla più grande isola africana, bagnata dall’Oceano Indiano, il Madagascar, le struggenti note di uno dei cori più famosi della storia dell’opera lirica, il Va pensiero tratto dalla terza parte del Nabucco di Giuseppe Verdi. Versi tratti dal Salmo 137, il canto degli ebrei prigionieri sulle rive dell’Eufrate, che guardando Babilonia, ricordano Gerusalemme: se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra, mi si attacchi la lingua al palato.

Grido contro le schiavitù, contro le illusioni di un potere, come ha detto ai giovani nella veglia di sabato, che “incantano con una gioia appariscente, rapida, facile e immediata, ma che alla fine lasciano il cuore, lo sguardo e l’anima a metà strada”. Promesse che anestetizzano, “tolgono la vitalità, la gioia”. Grido che chiede un cambio di prospettiva, che dice no alle ingiustizie sociali, all’emarginazione.

Celebra messa, Papa Francesco, nel Campo diocesano di Soamandrakizay, davanti a un milione di persone; sull’altare sono state esposte le reliquie del Beato Rafael Luis Rafiringa, beatificato il 7 giugno 2009 ad Antananarivo, che per tre anni ha tenuto viva la comunità cattolica, quando i missionari furono cacciati dal paese. Quel grido, sulle rive dell’Eufrate, può essere letto anche come invito a costruire un mondo nuovo dove l’altro non sia visto come un nemico ma come un fratello. E il Vangelo di questa domenica ci dice che essere discepoli di Cristo significa, appunto, ritrovarsi fratelli, superare le differenze, la separazione tra schiavi e liberi. Luca ricorda le tre condizioni per essere discepolo di Gesù: amarlo più di ogni altra persona e della stessa vita; prendere la propria croce e seguirlo; rinunciare a tutti i propri averi. Seguire Gesù, diceva Benedetto XVI, “non può dipendere da entusiasmi e opportunismi; deve essere una decisione ponderata, presa dopo essersi domandati in coscienza: chi è Gesù per me? È veramente il Signore”.

La vita che il Signore ci propone, afferma Francesco nell’omelia, sembra scomoda e si trasforma in scandalosa ingiustizia per quanti credono che l’accesso al Regno passi attraverso legami di sangue e appartenenze di gruppo o clan: questo porta alla cultura del privilegio e dell’esclusione: “favoritismi, clientelismi, e quindi corruzione”. Se non si vede l’altro come un fratello, commuoversi per la sua vita e la sua situazione, non può essere discepolo di Gesù, dice il Papa.

Quel prendere la propria croce significa, per Francesco, che il Regno dei Cieli non può essere identificato “con i propri interessi personali o con il fascino di qualche ideologia che finisce per strumentalizzare il nome di Dio o la religione per giustificare atti di violenza, di segregazione e persino di omicidio, esilio, terrorismo ed emarginazione”. Non si può manipolare il Vangelo “con tristi riduzionismi”, ma si deve “costruire la storia in fraternità e solidarietà, nel rispetto gratuito della terra e dei suoi doni contro qualsiasi forma di sfruttamento” afferma Francesco.

La nuova vita che il Signore ci dona, afferma il Papa, non dipende dalle nostre forze e da ciò che possediamo, non è una corsa “assillante e opprimente” ad accumulare. Se ci chiudiamo “nel proprio piccolo mondo” lasciamo poco spazio agli altri: “i poveri non entrano più, la voce di Dio non è più ascoltata”. Quanti uomini e donne, giovani, bambini “soffrono e sono totalmente privi di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio” afferma Papa Francesco. Dobbiamo mettere da parte le nostre chiusure, i nostri orgogliosi individualismi: “davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male”. Ma il cristiano afferma Francesco, non può stare a braccia conserte, indifferente; “ognuno deve sentirsi amato, compreso, accettato, e apprezzato nella sua dignità”. Diceva don Lorenzo Milani: a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca.

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Fonte: Sir