Il centro della parola di Dio è la carità. Sta a noi, ha detto all’Angelus, ascoltare “il grido dei poveri, unito al grido della Terra”

Le parole di Gesù non chiudono alla speranza, anzi vogliono “strapparci dall’angoscia e dalla paura dinanzi al dolore del mondo”.

Il centro della parola di Dio è la carità. Sta a noi, ha detto all’Angelus, ascoltare “il grido dei poveri, unito al grido della Terra”

Nella pagina di questa domenica, Marco ci mette di fronte a alcuni interrogativi essenziali e ci chiama a riflettere sul giudizio di Dio: Vangelo sul tema delle “cose ultime”, sulla crisi e insieme sulla speranza che guarda non la fine, ma il fine del nostro pellegrinare. Parole apocalittiche che descrivono la fragilità dell’universo: “in quei giorni, dopo la tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Ma non è ciò che accade, in un certo senso, sotto i nostri occhi; non c’è un mondo che muore ogni giorno sotto la violenza insensata?

Papa Francesco all’Angelus, davanti a 30 mila persone, parla del dolore di oggi: “siamo dentro a una storia segnata da tribolazioni, violenze, sofferenze e ingiustizie, in attesa di una liberazione che sembra non arrivare mai. Soprattutto, a esserne feriti, oppressi e talvolta schiacciati sono i poveri, gli anelli più fragili della catena”. È la domenica dedicata ai poveri, Giornata mondiale nata dal desiderio di uno di loro, Ètienne, che gli ha fatto la richiesta, aveva ricordato a Assisi il Papa. Giornata che ci chiede “di non voltarci dall’altra parte, di non aver paura a guardare da vicino la sofferenza dei più deboli, per i quali il Vangelo di oggi è molto attuale: il sole della loro vita è spesso oscurato dalla solitudine, la luna delle loro attese è spenta; le stelle dei loro sogni sono cadute nella rassegnazione ed è la loro stessa esistenza a essere sconvolta. Tutto ciò a causa della povertà a cui spesso sono costretti, vittime dell’ingiustizia e della disuguaglianza di una società dello scarto, che corre veloce senza vederli e li abbandona senza scrupoli al loro destino”.

Le parole di Gesù non chiudono alla speranza, anzi vogliono “strapparci dall’angoscia e dalla paura dinanzi al dolore del mondo”. Proprio “in mezzo al pianto dei poveri”, tra le “quotidiane rovine del mondo” ai cristiani, dice il vescovo di Roma, celebrando in san Pietro, è chiesto di essere “instancabili costruttori di speranza; di essere luce mentre il sole si oscura, testimoni di compassione mentre attorno regna la distrazione, amanti e attenti nell’indifferenza diffusa”. Poi cita il vescovo di Molfetta don Tonino Bello per dire che, come credenti, “non possiamo limitarci a sperare, dobbiamo organizzare la speranza”.

Così le parole di Gesù, nel Vangelo di questa domenica, ci dicono che “tutto in questo mondo, prima o poi, passa” ma “le parole del Signore non passano. Egli stabilisce una distinzione tra le cose penultime, che passano, e le cose ultime, che restano”. Messaggio per orientarci nelle scelte della vita, dice Francesco, “siamo tentati di aggrapparci a quello che vediamo e tocchiamo e ci sembra più sicuro. È umano, la tentazione è quella. Ma è un inganno, perché ‘il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno’”. Il centro della parola di Dio è la carità: “quando vediamo una persona generosa e servizievole, mite, paziente, che non è invidiosa, non chiacchiera, non si vanta, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, questa è una persona che costruisce il Cielo in terra. Magari non avrà visibilità, non farà carriera, non farà notizia sui giornali, eppure quello che fa non andrà perduto. Perché il bene non va mai perduto, rimane per sempre”.

Nell’omelia in San Pietro, presenti duemila poveri, aveva affermato che la tenerezza è “la parola che fa germogliare la speranza nel mondo e solleva il dolore dei poveri”. Sta a noi “superare la chiusura, la rigidità interiore che è la tentazione di oggi dei ‘restaurazionisti’ che vogliono una chiesa tutta ordinata, tutta rigida: questo non è dello Spirito Santo”. Sta a noi, aveva ancora detto, “far germogliare, in questa rigidità, la speranza” superando la “tentazione di occuparci solo dei nostro problemi, per intenerirci dinanzi ai drammi del mondo”. Essere persone che “spezzano il pane con i poveri, operano per la giustizia, rialzano i poveri e li restituiscono alla loro dignità”. Sta ancora a noi, ha detto all’Angelus, ascoltare “il grido dei poveri, unito al grido della Terra”. Riferimento esplicito ai lavori del vertice di Glasgow, COP 26. Così chiede a chi ha responsabilità politiche e economiche di “agire subito con coraggio e lungimiranza” e invita “tutte le persone di buona volontà ad esercitare la cittadinanza attiva per la cura della casa comune”.

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Fonte: Sir