Mons. Delpini: “il cardinal Martini, uomo e pastore autorevole”

Un'occasione per ricordare il gesuita, biblista e arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002 è stata offerta lunedì 9 maggio in Università Cattolica, con un convegno cui hanno preso parte studiosi e testimoni. L'attuale pastore della diocesi ambrosiana ha svolto una serie di riflessioni sul rapporto tra Martini e la Parola e sul suo ruolo nella Chiesa locale e universale

Mons. Delpini: “il cardinal Martini, uomo e pastore autorevole”

“Perché, a distanza di 10 anni dalla morte e di 20 anni dalle dimissioni da arcivescovo di Milano, capita molto spesso che ci siano persone che argomentano dicendo: ‘come diceva il card. Martini?’”. È partito da questa constatazione, che corrisponde a un interrogativo, l’attuale arcivescovo della diocesi ambrosiana, mons. Mario Delpini, nel suo intervento al convegno promosso oggi in Università Cattolica, intitolato “Carlo Maria Martini: un vescovo e la sua città”. La riflessione di Delpini era intesa, come egli stesso ha affermato, a domandarsi quali fattori abbiano contribuito a rendere incisiva l’attività pastorale del gesuita, cardinale, alla guida della diocesi dal 1980 al 2002. Il fatto che l’episcopato del card. Martini “si sia disteso per oltre vent’anni non è un dato ininfluente o marginale nella vita di una diocesi”, ha subito affermato mons. Delpini. “Il numero dei preti ordinati, le diverse visite compiute nel territorio diocesano e delle molte iniziative pastorali proposte contribuisce certo a lasciare una traccia profonda nella vita della diocesi ambrosiana”.

“La dinamica dell’autorevolezza”. Mons. Delpini ha dapprima sottolineato: “l’autorevolezza è una nozione che non so definire in modo appropriato. […] Solo comprendo che l’autorevolezza è in ogni caso l’esito di una circolarità in cui entrano in gioco le qualità della persona, la convergenza del consenso, il prestigio del ruolo…”. L’autorevolezza del card. Martini “può essere compresa dunque dentro questa dinamica, in cui interviene – come fattore che contribuisce a dare rilevanza alla sua opera e alla sua persona – lo stesso ruolo che gli è stato affidato.
L’essere stato mandato come vescovo a Milano ha permesso che si rivelasse all’intera Chiesa italiana

la sua personalità e ha consentito progressivamente di attirare l’attenzione del mondo intero su di lui”. Certamente non erano irrilevanti il ruolo di Rettore del Biblico e della Gregoriana, “la sua autorevolezza come studioso e maestro”, ma “la scelta provvidenziale di Giovanni Paolo II di inviarlo a Milano come arcivescovo ha contribuito a fare di Martini un punto di riferimento universalmente conosciuto, chiamato in ogni parte del mondo a predicare, insegnare, incontrare”. Questi tre aspetti – la sua persona, il consenso e il ruolo – hanno interagito, secondo Delpini, “così profondamente facendo sì che diventasse una persona autorevole, sino a rendere incisiva anche la sua azione pastorale”.

Fiducia nella Parola parlata. Nel suo contributo al convegno, l’arcivescovo di Milano ha osservato ancora: “se volessimo poi trovare una cifra qualificante il magistero del card. Martini

è innegabile riconoscere quanto si concentri continuamente e si alimenti del tema della Scrittura e della Parola di Dio.

Forse – si potrebbe anche ritenere – che lo stesso Martini ha voluto concentrare tutta la sua missione nell’intento preciso di voler richiamare la Chiesa di Milano e tutta la Chiesa a questo riferimento sostanziale alla Parola, giungendo addirittura a sognare una Chiesa tutta sottomessa alla Parola di Dio”. A questo punto l’arcivescovo ha richiamato due aspetti. “Il primo attiene a una particolare fiducia accordata alla parola parlata. Cioè che più si esprime nella predicazione che nella pubblicazione, nella conversazione che nella celebrazione. La stessa imponente mole delle sue pubblicazioni è composta in gran parte da trascrizioni di suoi interventi orali (predicazioni di esercizi spirituali, lezioni magistrali, interventi in molti contesti, discorsi, ecc). La fiducia nella parola parlata è una espressione della convinzione che parlando, nell’incontro in presenza, è possibile farsi capire, aiutare a capire”. Il secondo aspetto “segnala una accentuazione del linguaggio dell’insegnamento. La terminologia scolastica utilizzata per le forme più note del suo magistero mi sembra una conferma di questa accentuazione. Ha infatti chiamato ‘Scuola della Parola’ la sua proposta di formazione per i giovani. Ha chiamato ‘Cattedra dei non credenti’ la sua convocazione di personalità della cultura contemporanea per il dialogo su alcuni temi e sfide del presente”.

La terminologia “scuola”, “lectio”, “cattedra” viene “dall’immaginario accademico e caratterizzano la particolare sensibilità del card. Martini”.

L’attrattiva di essere “avanti”. Delpini ha proseguito con una osservazione ulteriore su autorevolezza e incisività della proposta pastorale di Martini, che “trova una sua particolare motivazione nellaconvinzione che Martini rappresentasse una attitudine ‘progressista’, aperta verso le problematiche e sfide contemporanee.

Il presupposto è che invece nella Chiesa di quegli anni ci fossero delle attitudini più ‘conservatrici’ e comunque più chiuse”. Secondo l’oratore, “queste attitudini sono entrambi legittime nella Chiesa, ma la sensibilità contemporanea e la comodità mediatica, che ama le semplificazioni e le contrapposizioni, ha insistito nel creare l’immagine di posizioni in tensione, se non conflittuali. Secondo queste visioni approssimative Martini finisce per essere progressista e mentre Giovanni Paolo II conservatore; Milano ‘che è avanti’ e Roma ‘che è indietro’, Martini aperto e Benedetto XVI chiuso…”. A questo punto mons. Delpini ha chiarito: “la semplificazione riduttiva, anche se ha contribuito al confluire del consenso di una certa parte della sensibilità contemporanea, non consente tuttavia un adeguato apprezzamento dell’attitudine del card. Martini verso la contemporaneità”. Dunque, si è domandato: in che senso Martini è “avanti”, è “aperto”? “Si possono individuare alcune attenzioni che confermano una sua sapiente lettura del mondo contemporaneo, non priva, forse, di una certa accondiscendenza”.

Sinodalità metodo e pratica. Tre i temi messi a questo punto in evidenza. Primo: “la sinodalità come metodo e come pratica. Sul metodo forse non c’è, in Martini, una riflessione molto articolata, ma sulla pratica si deve ricordare nella celebrazione del Sinodo 47° la costante attenzione a un lavoro volutamente condiviso con collaboratori, con organismi diocesani e con la celebrazione di assemblee diocesane”. Secondo:“l’evoluzione di Milano verso una società plurale, multi-etnica, multi-religiosa, multi- culturale. In molti interventi il card. Martini ha segnalato questa evoluzione”.

Terzo aspetto: “La destinazione prioritaria alla singola persona”, riscontrabili nella predicazione, nell’insistenza sul discernimento personale, nella fitta corrispondenza con persone che in Martini hanno trovato un interlocutore sempre attento e sensibile.

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Fonte: Sir