Papa Francesco: “diritto di morire” è “privo di qualsiasi fondamento giuridico”

“Se l’opposizione del credente a questa legge si fonda sulla convinzione che la vita umana è dono divino che all’uomo non è lecito soffocare o interrompere, altrettanto motivata è l’opposizione del non credente che si fonda sulla convinzione che la vita sia tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni ‘indisponibili’, che né i singoli né la collettività possono aggredire”.

Papa Francesco: “diritto di morire” è “privo di qualsiasi fondamento giuridico”

Citando questo estratto di una conferenza tenuta dal giudice Livatino a Canicattì nel 1986, il Papa ha riassunto la posizione cattolica su un presunto “diritto all’eutanasia”. “Queste considerazioni sembrano distanti dalle sentenze che in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia, in Italia e in tanti ordinamenti democratici”, il grido d’allarme di Francesco, durante l’udienza ai membri del Centro studi Livatino. “Pronunce per le quali l’interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato”, ha commentato il Papa –  o che – secondo una giurisprudenza che si autodefinisce ‘creativa’ – inventano un ‘diritto di morire’ privo di qualsiasi fondamento giuridico, e in questo modo affievoliscono gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a sé stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza”.

Oggi assistiamo alla “giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti ‘nuovi diritti’, con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo”. A denunciarlo è stato il Papa, che ha stigmatizzato questa sentenza e ha rilanciato la definizione che il giudice assassinato dalla mafia ha dato del magistrato: “Egli altro non è che un dipendente dello Stato al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi, che quella società si dà attraverso le proprie istituzioni”. Al contrario, come aveva notato già Livatino, “si è venuta sempre più affermando una diversa chiave di lettura del ruolo del magistrato, secondo la quale quest’ultimo, ‘pur rimanendo identica la lettera della norma, possa utilizzare quello fra i suoi significati che meglio si attaglia al momento contingente”. “L’attualità di Rosario Livatino è sorprendente – ha commentato Francesco –  perché coglie i segni di quel che sarebbe emerso con maggiore evidenza nei decenni seguenti, non soltanto in Italia, cioè la giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti ‘nuovi diritti’, con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo”. “Livatino ha testimoniato quanto la virtù naturale della giustizia esiga di essere esercitata con sapienza e con umiltà, avendo sempre presente la dignità trascendente dell’uomo, che rimanda «alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella ‘bussola’ inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato”, l’omaggio del Papa.

Decidere è scegliere; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare”. “Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio”, ha proseguito Francesco con la citazione: “Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto, per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione”. “In questo modo, con queste convinzioni, Rosario Livatino ha lasciato a tutti noi un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi – ha spiegato il Papa – e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge”. “La concordia è il legame tra gli uomini liberi che compongono la società civile”, ha fatto notare Francesco: “Col vostro impegno di giuristi, voi siete chiamati a contribuire alla costruzione di questa concordia, approfondendo le ragioni della coerenza fra le radici antropologiche, l’elaborazione dei principi e le linee di applicazione nella vita quotidiana”, l’invito ai presenti. Alla fine, un riferimento autobiografico sorprendente: “Dopo la morte di Livatino, in più di uno dei suoi appunti veniva trovata a margine una annotazione, che all’inizio suonava misteriosa: “S.T.D.”. Presto si scoprì che era l’acronimo che attestava l’atto di affidamento totale che Rosario faceva con frequenza alla volontà di Dio: S.T.D. sono le iniziali di sub tutela Dei. Vi auguro di proseguire sulle sue orme, in questa scuola di vita e di pensiero”.

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Fonte: Sir