Papa in Giappone. La piccola comunità cattolica a Tokyo: “Incontriamo le povertà invisibili”

Viaggio tra i 97mila cattolici a Tokyo alla vigilia della visita di Papa Francesco in Giappone. Una presenza silenziosa ma attiva, in un mondo a maggioranza shinthoista e buddista. Aperta soprattutto alle povertà invisibili e a chi si trova in situazioni di disagio. Padre Andrea Lembo, missionario del Pime: “Ci siamo sentiti interpellati dai poveri, dovevamo fare qualcosa, anche di piccolo, per loro”

Papa in Giappone. La piccola comunità cattolica a Tokyo: “Incontriamo le povertà invisibili”

Riduttivo definirla una città. La Grande Aerea di Tokyo include Tokyo ma anche oltre 30 prefetture che fanno di questo territorio la più grande area metropolitana del mondo con più di 30 milioni di residenti. Una rete fittissima di metropolitane e treni super veloci urbani l’attraversano ogni giorno, ad ogni minuto, raggiungendo ogni angolo di questa regione. E’ qui tra questi cunicoli in maioliche bianche e gallerie moderne che si svolge gran parte della vita dei giapponesi. Da qui ogni mattina raggiungono scuole e luoghi di lavoro. Qui si incontrano, mangiano, prendono il caffè, si divertono. Tokyo è un miscuglio di super modernità con i suoi grattacieli altissimi rivestiti di videowall che proiettano in continuazione clip di pubblicità, e antichità secolari ancora visibili nei kimono, templi e pagode che resistono nonostante l’urto potente delle più aggiornate tecnologie. E’ qui in questa isola bagnata dall’Oceano Pacifico che arriverà Papa Francesco il 23 novembre.

La religione in Giappone è caratterizzata dalla mancanza di seguaci di un unico e solo filone religioso. Le religioni più diffuse in Giappone sono lo shintoismo e il buddhismo ma stabilire quale sia quella con il maggior seguito è praticamente impossibile visto che molti giapponesi seguono sia i credi dello shintoismo che quelli del buddhismo e vi è quindi la tendenza ad accomunare diversi elementi di varie religioni in modo sincretico. Sabato 9 novembre si è svolta la tradizionale “benedizione dei 3, 5 e 7 anni”.  Nel tempio shintoista dell’ “Anima della grande nazione”, i bimbi vengono accompagnati mano nella mano da parenti e amici dal kanugi per ricevere la benedizione sacra. Sono vestiti in kimono e ancheggiano faticosamente sui geta, i sandali tradizionali giapponesi a metà tra zoccoli e infradito.

Anche secondo la Costituzione del Giappone, l’Imperatore è il simbolo della nazione giapponese e dell’unità del suo popolo. Domenica 10 novembre, qui a Tokyo 120 mila persone munite di bandierina giapponese, hanno assistito alla sfilata dell’imperatore Naruhito all’interno dei giardini del Palazzo imperiale, scortato dalla polizia a bordo di una macchina di lusso decappottabile, celebrando così la fine della cerimonia di intronizzazione.

In questo mare infinito di simboli e tradizioni, i cattolici sono una minoranza. A seconda delle fonti, il numero di cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi) varia da 1 a 3 milioni di fedeli. I cattolici a Tokyo sono 97.656.

In vista della visita di Papa Francesco, la settimana scorsa in tutta la nazione, la polizia si è mossa simultaneamente ed ha controllato tutti i siti ufficialmente denominati “cattolici” per testare la presenza dei cristiani e il loro rapporto con la società civile. Sono andati nelle parrocchie, nelle chiese ma anche nelle comunità e congregazioni religiose. I sondaggi vengono fatti basandosi sull’obbligo che i cristiani giapponesi hanno di iscriversi alle Chiese e pagare le decime. Ma la “popolazione cristiana” qui è costituita anche dagli stranieri, per lo più vietnamiti, filippini, cingalesi, indonesiani che per il fatto di essere cittadini di altri Paesi non sono tenuti alla iscrizione.

Una piccola Chiesa, silenziosa, aperta ai più poveri. In tutto il mondo, le storie di solidarietà hanno ovunque la stessa radice e sono mosse dalla stessa motivazione. Alla domanda, “perché lo fate?”, anche qui, in questa parrocchia della Sacra Famiglia di Fuchu, a 20 chilometri dal centro di Tokyo, il parroco padre Andrea Lembo, missionario del Pime, risponde: “ci siamo sentiti interpellati dai poveri, dovevamo fare qualcosa, anche di piccolo, per loro”. Nella città di Funabashi, alle porte di Tokyo, è nato nel 2014 il centro culturale “Galilea” per risolvere i problemi della società giapponese e avvicinare le persone al cristianesimo.

La Mensa degli Angeli. I segnaposti sono piccoli angeli realizzati all’uncinetto da una delle volontarie. I piatti della buona cucina giapponese sono curati in ogni dettaglio: la ciotola di riso, le bacchette, lo sformato di patate, le verdure in miniatura, le polpette di maiale in brodo, i dolci appena sfornati e l’immancabile tè. Così la parrocchia di Fuchu accoglie ogni sabato gli ospiti della “Mensa degli Angeli”, una trentina di persone in situazione di povertà materiale, seppur poco visibile. La “Mensa degli Angeli” è in rete con le attività e i servizi sociali del Comune. E’ la seconda parrocchia a Tokyo che propone un servizio caritativo di questo tipo.

Le povertà invisibili. “In Giappone è difficile capire chi è veramente povero – spiega Sakyiama San, la veterana delle volontarie -. I vestiti si possono comprare a poco prezzo e molti per orgoglio e pudore non si fanno vedere”. Eppure nell’area metropolitana di Fuchu, dove vivono 1 milione di persone (su 30 milioni di abitanti della megalopoli), 1 bambino su 6 è povero.

Cadono in povertà le madri single, le donne in fuga dalle violenze del marito, chi perde il posto di lavoro, gli anziani e i malati.

L’assegno sociale non arriva a 70.000 yen (circa 600 euro al mese), che in una città cara come Tokyo non basta nemmeno per l’affitto di casa. La Caritas parrocchiale di Fuchu ha voluto realizzare questa mensa “non solo per mangiare insieme – aggiunge Sakyama San – ma per dare supporto e vicinanza a queste persone”. Il salto culturale rispetto alle nobili tradizioni del passato è evidente ovunque in un Paese che sembra posseduto dal consumismo e dall’ipertecnologia. La gente appare sempre stanca o di fretta, comunica poco, lavora troppo. “Oggi è raro che tutta la famiglia riesca a riunirsi ad uno stesso tavolo per mangiare insieme – dice una volontaria più giovane, Mieko Tsutsui -. All’interno della nostra società le interazioni sono deboli, le persone spesso isolate. Al primo posto c’è il bene comune”.

La Scuola della Gioia. Il livello di performance scolastiche e lavorative richiesto è altissimo, e studiare è molto costoso. Oltre ad andare a scuola tutti i giorni della settimana i ragazzi devono frequentare corsi extra-scolastici per arrivare preparati ai difficili test di accesso alle facoltà universitarie. Per chi è in situazione di fragilità sociale e non può permetterselo la parrocchia propone la “Scuola della Gioia”. La fondatrice è una insegnante, Yumi Takahashi, cattolica dalla nascita: “Incontro molti bambini. Le loro madri sono sempre occupate e non sanno come aiutare i figli ad andare bene a scuola”. Per questo come prima attività di Caritas Fucho hanno pensato ad un doposcuola gratuito. “Abbiamo ragazzi dagli 8 ai 15 anni, li incontriamo ogni sabato pomeriggio”.

In attesa del Papa. Il vero cruccio dell’insegnante è però il conflitto vissuto dai giovani, il cui futuro scolastico e lavorativo viene deciso dai genitori intorno ai 10 anni: “Sogno una società in cui ognuno possa scegliere la propria strada”, auspica. Le due signore lasciano trapelare una emozione leggera appena si affronta l’argomento “visita del Papa”: “Sappiamo che Papa Francesco sarà molto impegnato durante la visita in Giappone. Ma sarebbe bello se potesse vedere anche queste nostre piccole attività”.

“E’ vero che qui lo conoscono in pochi ma per i giovani è  molto importante poter incontrare un uomo di pace”.
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Fonte: Sir