Riacquistare la vista. Gesù è la “luce del mondo, - dice Francesco - la luce che rischiara le nostre tenebre”

Il racconto del quarto Vangelo è metafora “del percorso di liberazione dal peccato a cui siamo chiamati”.

Riacquistare la vista. Gesù è la “luce del mondo, - dice Francesco - la luce che rischiara le nostre tenebre”

Alla pandemia del virus Papa Francesco chiede di rispondere con la pandemia della preghiera, “con l’universalità della preghiera, della compassione, della tenerezza”. Sono giorni di prova, afferma all’Angelus, per la terza volta recitato non alla finestra dello studio, ma da solo, nella biblioteca privata del Palazzo Apostolico. Francesco propone ai capi delle chiese e ai leader e ai cristiani delle varie confessioni un duplice flash mob della preghiera: la recita del Padre nostro alle 12 di mercoledì 25 marzo, “nel giorno in cui molti cristiani ricordano l’annuncio alla Vergine Maria dell’Incarnazione del Verbo”. Quindi, venerdì 27 marzo alla 18 davanti a una piazza san Pietro vuota, preghiera, adorazione del Santissimo Sacramento, benedizione Urbi et Orbi, cioè alla città e al mondo, e l’indulgenza plenaria. La forza della preghiera per dire la vicinanza alle persone sole e provate, ai medici, a quanti lavorano negli ospedali; vicinanza alle autorità, ai poliziotti, ai soldati.
Vicinanza all’uomo concreto, come nel Vangelo di domenica, dove leggiamo che Gesù vide un uomo; non un cieco dalla nascita, non un malato, non un problema, ma un uomo.
Prima la donna samaritana al pozzo di Sicar, la sete dell’acqua che è scoperta di un incontro che cambia la vita. Poi, il cieco che riacquista la vista: la luce che rischiara le nostre tenebre. Alla radice c’è un contrasto tra l’apertura di un incontro che va ben oltre le nostre capacità di intendere i rapporti e, appunto, la piccolezza dei nostri orizzonti, anche religiosi. Gesù, alla donna che al pozzo di Giacobbe è andata a prendere l’acqua, non dice ho sete, ma la coinvolge con quel suo “dammi da bere”. Così nel Vangelo di questa domenica all’uomo nato cieco fa una cosa analoga: dopo avergli ridato la vista, passatemi l’espressione, “fisica”, gli chiede di “credere” nel “figlio dell’uomo” per riacquistare la vista e vedere veramente. Ecco il contrasto che Giovanni mette in primo piano: un cieco che è diventato vedente – che ha creduto nel Signore – e “coloro che vedono” diventati ciechi.
Gesù è la “luce del mondo, la luce che rischiara le nostre tenebre”, ricorda il Papa.
Da un lato i farisei dubbiosi; dall’altro il cieco, il quale, “tra la diffidenza e l’ostilità di quanti lo circondano e lo interrogano increduli”, compie “un itinerario che lo porta gradualmente a scoprire l’identità di colui che gli ha aperto gli occhi e a confessare la fede in lui”.
Con la luce della fede, afferma Papa Francesco, l’uomo che era cieco “scopre la sua nuova identità. Egli ormai è una “nuova creatura”, in grado di vedere in una nuova luce la sua vita e il mondo che lo circonda, perché “è entrato in comunione con Cristo, è entrato in un’altra dimensione. Non è più un mendicante emarginato dalla comunità; non è più schiavo della cecità e del pregiudizio”. Il racconto del quarto Vangelo è metafora “del percorso di liberazione dal peccato a cui siamo chiamati”, afferma Papa Francesco. Il peccato “è come un velo scuro che copre il nostro viso e ci impedisce di vedere chiaramente noi stessi e il mondo; il perdono del Signore toglie questa coltre di ombra e di tenebra e ci ridona nuova luce”.
Il tempo della Quaresima, che viviamo nelle nostre case nella preoccupazione di un futuro che non siamo capaci di vedere, è, per il Papa, il “tempo opportuno e prezioso per avvicinarci al Signore, chiedendo la sua misericordia, nelle diverse forme che la madre chiesa ci propone”. Il cieco che vede è immagine di ogni battezzato “che immerso nella Grazia è stato strappato dalle tenebre e posto nella luce della fede”. Ma per il vescovo di Roma, “non basta ricevere la luce, occorre diventare luce. Ognuno di noi è chiamato ad accogliere la luce divina per manifestarla con tutta la propria vita”.
Anche noi, commentava Papa Benedetto XVI, nel suo penultimo Angelus prima di annunciare al mondo la sua rinuncia, “siamo nati ciechi” a causa del peccato originale di Adamo, ma nel battesimo “siamo stati illuminati dalla grazia di Cristo. Il peccato aveva ferito l’umanità destinandola all’oscurità della morte, ma in Cristo risplende la novità della vita e la meta alla quale siamo chiamati”; in lui “riceviamo la forza per vincere il male e operare il bene”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)