Salmo 126. La Grazia di Dio sempre opera in noi, anche quando non ce ne accorgiamo

Ci sono momenti nella vita, pur in questa valle di lacrime, in cui, per la gioia, ci pare di sognare.

Salmo 126. La Grazia di Dio sempre opera in noi, anche quando non ce ne accorgiamo

Con gli altri cinque membri della famiglia, siamo reduci da un sabato – una pausa rinfrancante in tutti i sensi, davvero un riposo nel Signore – che abbiamo potuto celebrare in un paesino della Brianza, Cermenate, che diede i natali al mio nonno materno, un Cincinnato di questo Paese, già professore di Economia e membro dell’Assemblea Costituente, ma rimasto fino alla morte, avvenuta in età avanzata, molto legato alla sua terra e all’agricoltura. Qui abbiamo vissuto il cosiddetto “giorno del cugino”, una festa che vede riunirsi, ogni anno, presso la fattoria avita – ieri in quaranta! – le famiglie delle quattro sorelle con i loro nove figli – i nove cugini primi – e le loro rispettive progenie, che di anno in anno ancora sta aumentando, per Grazia di Dio. Significa iniziare quasi un anno prima a consultarsi su un’apposita chat, per concordare la data che veda maggiore affluenza, considerando che non solo da Milano, Monza e Cantù ci si raduna, ma anche da Roma, Londra, Newcastle, Palma di Maiorca e Buenos Aires!!! È condividendo questa gioia che posso commentare il salmo 126: “Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Allora si diceva tra le genti: Il Signore ha fatto grandi cose per loro. Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia”. (vv. 1-3). Sì, ci sono momenti nella vita, pur in questa valle di lacrime, in cui, per la gioia, ci pare di sognare, in cui, anche come cristiani, ci pare di essere così vicini al Signore da chiedergli di fare tre tende e restare a contemplare la bellezza e la pace donate dalla sua presenza fra noi. Sappiamo bene (ma dovremmo tenerlo a mente) che si tratta di occasioni speciali, momenti rari, da saper assaporare in tutta la loro intensità, svuotando l’animo dalle preoccupazioni, un esercizio non sempre immediato. Sono eventi o circostanze davvero preziose; come quella che ho sperimentato con tante persone care nella giornata di ieri, in cui anche un sole generoso ha sfatato le più piovose previsioni che si sono confermate con pioggia e grandine solo a festa finita, dopo che ognuna delle attività pensate per i grandi e per i bambini si è potuta realizzare, senza rinunce, per la felicità di tutti. Di certo, dal cielo, i nostri avi, che noi preghiamo come santi, nel senso paolino di “amici di Dio” e che crediamo già prossimi al Paradiso, hanno interceduto per noi fino a trattenere le nubi nelle ore decisive, per un kairos, un tempo propizio, di cui tutti abbiamo beneficiato, come fossimo una porzione del popolo di Israele che, per bocca del salmista, ringrazia di essere tornato a Gerusalemme, dopo l’esilio. Ma il salmo prosegue, arricchendo di sapienza la sua supplica: “Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb” (v. 4). Non ho ancora ricevuto il grande dono di posare i piedi sulla Terra Santa (la promessa che ho fatto a mia moglie è di riuscirci nel 2025, anno giubilare e venticinquesimo di matrimonio), quindi quello che scrivo di Israele non è per esperienza oculare, ma frutto di letture, e, però, per capire questo verso è necessario sapere che quelli che scorrono nel deserto del Negheb, sono corsi d’acqua stagionali, quasi sempre asciutti, sterili, che, a causa delle piogge invernali, si gonfiano fino a diventare dei torrenti impetuosi. Questa immagine è allora davvero pregnante anche per la nostra vita spirituale perché è l’invocazione a voler convertirci alla Grazia di Dio, che sempre opera in noi, anche quando non ce ne accorgiamo. “Ristabilisci la nostra sorte” è una traduzione non felicissima (i credenti non si affidano mai ad una sorte ineluttabile, ma accolgono fiduciosi un disegno provvidente) il cui significato è quello di desiderare ardentemente che il Signore agisca nei nostri cuori – come abbiamo chiesto nella recente festa di Pentecoste – per ricondurci a lui, per illuminare il nostro sguardo e farci riconoscere che “Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione; esse son rinnovate ogni mattina, grande è la sua fedeltà” (Lam 3, 22-23). Ancora i versetti finali rinforzano la speranza del credente e, come spesso fa la Bibbia, non con consolazioni a buon mercato, ma con una sapienza che libera il cuore dalla paura e dall’angoscia: “Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni” (vv 5-6). Una diuturna e spossante fatica fisica e mentale, il male nel corpo e nell’animo, il tragico declino delle forze in vecchiaie raramente serene (soprattutto nella nostra attuale congerie sociale) le nostre piccole e grandi morti spirituali: tutto questo appartiene ai nostri giorni, fa parte della nostra vita quotidiana, dalla nascita alla morte, molto più di quanto facciamo esperienza delle rare estasi a cui abbiamo accennato. La Parola di Dio ci incoraggia a vivere questa dimensione di sofferenza che così tanto intride la nostra umanità, con uno sguardo lungimirante, con una postura eretta, con un respiro largo. Le lacrime, tutte le nostre lacrime, non vanno mai perdute: un padre a cui nulla sfugge e un Figlio che ha donato la vita per noi, le raccolgono in un otre prezioso (Sal 56,9). Quando riusciamo a far passare dalla testa al cuore la verità che la croce è redenzione, che non c’è dolore che non sia fecondo se assunto con e nello spirito con cui Cristo lo ha attraversato, allora possiamo farci seme che sotto terra muore per dare frutto, allora possiamo seminare con larghezza senza temere le intemperie. Una tragica calamità attanaglia in questi giorni molti nostri concittadini e milioni di ferite nella terra e fra i popoli ci turbano e scandalizzano, ma Gesù ci ha detto e ci ripete che la nostra tristezza si cambierà in gioia (Gv 16,20).

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Fonte: Sir