Una voce nel deserto. L’Avvento, luogo della prova, è "tempo di grazia per toglierci le nostre maschere"

Questo tempo di attesa ci offre l’opportunità di cogliere i tanti deserti delle nostre vite, di individuare quei rumori che ci distraggono e ci allontanano da quella mangiatoia di Betlemme.

Una voce nel deserto. L’Avvento, luogo della prova, è "tempo di grazia per toglierci le nostre maschere"

Un uomo austero e radicale, allergico alla doppiezza. Così Papa Francesco parla, all’Angelus, di Giovanni Battista, una delle tre figure simbolo, assieme a Maria e al profeta Isaia, di questo tempo di Avvento che ci accompagna alla nascita di Gesù. A prima vista il Battista poteva incutere timore: era vestito “di peli di cammello”, si “cibava di locuste e miele selvatico”, e invitava “tutti alla conversione perché il regno dei cieli è vicino”, ricorda il vescovo di Roma. È Matteo che nel suo Vangelo ci fa incontrare Giovanni Battista che predica nel deserto della Giudea e battezza con l’acqua del fiume Giordano; “voce di uno che grida nel deserto”, voce che inquieta e chiama alla conversione. “Germoglio che spunterà dal tronco di Iesse”, il padre di Davide, come si legge in Isaia, la prima lettura: “su di lui si poserà lo Spirito del Signore” e giudicherà “con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra”. Passaggio da un prima e un dopo, Giovanni Battista, posto com’è tra passato e futuro, tra i profeti legati alla Parola – ecco la voce – e il nuovo orizzonte di speranza e fiducia in un Dio che nasce. In questo “qui e non ancora” l’invito alla conversione “perché il Regno dei cieli è vicino”, anzi “è in mezzo a noi”.
Più che un uomo duro “è un uomo allergico alla doppiezza” Giovanni Battista, afferma il Papa, tanto da mostrare una “reazione allergica” molto forte quando “si avvicinano a lui farisei e sadducei, noti per la loro ipocrisia”. Molti gli si avvicinavano per “curiosità o per opportunismo”, prosegue, “era diventato molto popolare”. E tra “doppiezze e presunzione” essi “non coglievano l’occasione di grazie”. Così quella voce, afferma Francesco, è come il grido di un padre “che vede il figlio rovinarsi e gli dice non buttare via la tua vita”, perché “l’ipocrisia è il pericolo più grave” e può “rovinare anche le realtà più sacre”. Per accogliere Dio, “non importa la bravura, ma l’umiltà”, ognuno di noi “deve confessare, prima di tutto sé stesso, i propri peccati, le proprie mancanze, le proprie ipocrisie; bisogna scendere dal piedistallo e immergersi nell’acqua del pentimento”.
Le “reazioni allergiche” del Battista, dice il Papa, fanno riflettere anche noi che a volte “guardiamo gli altri dall’alto in basso” e pensiamo “di non avere bisogno ogni giorno di Dio”. L’unica occasione in cui è lecito guardare gli altri dall’alto in basso, spiega, è quando “aiutiamo gli altri a risollevarsi”.
Voce, deserto; immagine che rimanda alla storia di Israele che proprio nel deserto si era formato come popolo, sperimentando la fedeltà a Dio e la consapevolezza della propria fragilità. Voce che inquieta e chiama alla conversione; voce di uomo, non volto o persona, che prepara l’avvento di un altro Uomo che “battezzerà in Spirito Santo e fuoco”.
Il deserto è aridità e inattesa fecondità, e in qualche modo simboleggia il cuore arido di chi non è capace di accogliere l’altro. Questo tempo di attesa ci offre anche l’opportunità di cogliere i tanti deserti delle nostre vite, di individuare quei rumori che ci distraggono e ci allontanano da quella mangiatoia di Betlemme.
L’Avvento, luogo della prova, è dunque “tempo di grazia per toglierci le nostre maschere – ognuno le ha, dice il Papa – e metterci in coda con gli umili; per liberarci dalla presunzione di crederci autosufficienti, per andare a confessare i nostri peccati, quelli nascosti, e accogliere il perdono di Dio, per chiedere scusa a chi abbiamo offeso. Così comincia una vita nuova”. La strada è una sola, afferma il vescovo di Roma, quella dell’umiltà: “purificarci dal senso di superiorità, dal formalismo e dall’ipocrisia, per vedere negli altri dei fratelli e sorelle, dei peccatori come noi, e in Gesù vedere il Salvatore che viene per noi – non per gli altri, per noi – così come siamo, con le nostre povertà, miserie e difetti, soprattutto con il nostro bisogno di essere rialzati, perdonati e salvati”. Con Gesù, afferma ancora Francesco, “la possibilità di ricominciare c’è sempre”, c’è sempre “la possibilità di fare un passo in più. Egli ci aspetta e non si stanca mai di noi”.
In questo tempo di attesa, guardando alla Madonna, più forte deve essere la “nostra preghiera per la pace, specialmente per il martoriato popolo ucraino”.

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Fonte: Sir