Vedere, sapere, conoscere. E' nella risposta – “credo” – che il cieco riconosce il segno operato da Gesù, e compie un cammino di fede

Accade che la novità lascia interdetti e “emergono cuori chiusi di fronte al segno di Gesù”.

Vedere, sapere, conoscere. E' nella risposta – “credo” – che il cieco riconosce il segno operato da Gesù, e compie un cammino di fede

Non vedeva, ma anche non sapeva, non conosceva Gesù. È in questi tre verbi – vedere, sapere, conoscere – che si snoda il racconto della guarigione del cieco dalla nascita, nel Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima, chiamata anche in laetare. Domenica che coincide con l’inizio del Pontificato di Papa Francesco, dieci anni fa.
Prima la donna samaritana al pozzo di Sicar, la sete dell’acqua che è scoperta di un incontro che cambia la vita. Poi, il cieco che riacquista la vista: la luce che rischiara le nostre tenebre. Alla radice c’è un contrasto tra l’apertura di un incontro che va ben oltre le nostre capacità di intendere i rapporti e, appunto, la piccolezza dei nostri orizzonti, anche religiosi. Al pozzo di Giacobbe, Gesù coinvolge la donna dicendole: dammi da bere. All’uomo nato cieco fa una cosa analoga: dopo avergli ridato la vista “fisica”, gli chiede di “credere” nel “Figlio dell’uomo” per riacquistare la vista e vedere veramente. E nella risposta – “credo” – che il cieco riconosce il segno operato da Gesù, e compie un cammino di fede: prima incontra Gesù come un uomo tra gli altri, diceva Benedetto XVI, “poi lo considera un profeta, infine i suoi occhi si aprono e lo proclama Signore”.
Giovanni evidenzia anche il contrasto esistente tra il cieco e i presenti, i farisei: apre il suo racconto con il cieco che comincia a vedere e si chiude con dei vedenti che continuano a non vedere, a non credere ai loro occhi. I discepoli “finiscono nel chiacchiericcio e cercano un colpevole”; leggiamo in Giovanni: “chi ha peccato lui o i suoi genitori perché sia nato cieco”. Commenta Papa Francesco all’Angelus: “noi tante volte cadiamo in questo che è tanto comodo, cercare un colpevole anziché porsi domande impegnative nella vita”.
Poi e la volta di quanti hanno assistito alla guarigione, non credono e sono scettici: “per loro è inaccettabile, meglio lasciare tutto com’era prima e non mettersi in questo problema. Hanno paura – dice Francesco – temono le autorità religiose e non si pronunciano”.
Accade che la novità lascia interdetti e “emergono cuori chiusi di fronte al segno di Gesù”; le persone “cercano un colpevole, perché non sanno stupirsi, perché non vogliono cambiare, perché sono bloccati dalla paura”. Invece di accettare la verità, la testimonianza, il messaggio di Gesù, anche noi, afferma il vescovo di Roma, “cerchiamo un’altra spiegazione, non vogliamo cambiare e cerchiamo una via d’uscita più elegante”.
Il cieco invece “non inventa e non nasconde nulla” afferma il Papa: “non ha paura di quello che diranno gli altri: il sapore amaro dell’emarginazione lo ha già conosciuto, per tutta la vita, ha già sentito su di sé l’indifferenza il disprezzo dei passanti, di chi lo considerava come uno scarto della società, utile al massimo per il pietismo di qualche elemosina. Ora, guarito, quegli atteggiamenti sprezzanti non li teme più, perché Gesù gli ha dato piena dignità”. Era cieco e ora ci vede. La luce è ciò che rischiara l’oscurità, ci libera dalla paura delle tenebre; lo leggiamo già nelle prime righe della Genesi: “Dio disse sia la luce […] vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre”.
Con la guarigione Gesù gli ha ridato piena dignità, quella dignità che “esce dal profondo del cuore, che prende tutta la vita”. Nella prima lettura, il libro di Samuele, leggiamo infatti che “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”.
All’Angelus Papa Francesco ci pone delle domande, un po’ come fa spesso nelle sue riflessioni, ci mette nel mezzo della scena del Vangelo e ci chiede cosa avremmo detto allora, quale sarebbe stata la nostra posizione; ci chiede se siamo liberi di fronte ai pregiudizi, testimoniamo Gesù, o “ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi”; come i genitori del cieco “ci lasciamo ingabbiare dal timore di quello che penserà la gente?”. Ancora, “come accogliamo le difficoltà e l’indifferenza degli altri? Come accogliamo le persone che hanno tante limitazioni nella vita?”. Chiediamo, dice Francesco, “la grazia di stupirci ogni giorno dei doni di Dio e di vedere le varie circostanze della vita, anche le più difficili da accettare, come occasioni per operare il bene, come ha fatto Gesù con il cieco”.

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Fonte: Sir