25 anni fa saliva al cielo don Paolo Paiusco. Il ricordo di un amico: "Con lui Beolo era per noi una piccola Barbiana"

Sabato 24 ottobre ricorre il 25° della morte di don Paolo Paiusco. Il sacerdote verrà ricordato sabato 24 nella messa delle 18.30 a Vigodarzere e a San Giacomo di Albignasego alle 19. Di seguito il ricordo di un amico di don Paolo Paiusco, mancato 25 anni fa.

25 anni fa saliva al cielo don Paolo Paiusco. Il ricordo di un amico: "Con lui Beolo era per noi una piccola Barbiana"

Sono passati molti anni ormai da quando conobbi don Paolo Paiusco. Era il 1977 o il 1978.

Inviato in una piccola parrocchia (dopo un’esperienza a Pove del Grappa e a Vigodarzere), quasi una Barbiana, la località di Beolo di Conselve era solo un piccolo insieme di case con una piccola scuola elementare pluriclasse – che ormai stava per chiudere perché scarseggiavano i bambini – un piccolo negozio e una chiesa con canonica, erette negli anni tra il 1954 e 1957 con tanta generosità da parte dei “fedeli” locali: quasi un ex voto e un modo per tener aggregata una comunità di persone prevalentemente dedite al lavoro dei campi.

Per la parrocchia si trattava del quarto sacerdote che si avvicendava dopo don Severino Panizzolo, don Mario Balielo e don Graziano Marivo.

Non vivevo nella località di Beolo e lo conobbi nella scuola media di Conselve dove don Paolo era insegnante di religione. Per i preti l’insegnamento era una modalità frequente, un modo di conoscere in modo approfondito i ragazzi, invitarli alla vita della parrocchia e conoscere le famiglie di appartenenza.

Don Paolo Paiusco si presentava come persona umile, dotata di sorriso e con capacità di stimolare i ragazzi alla curiosità e alla ricerca. Talvolta era rude, severo ed inflessibile nel gestire ragazzi in piena!

Veniva in classe con la voglia di affrontare le questioni della età preadolescenziale utilizzando le esperienze di vita vissuta come il modo di comunicare che tutto, e in particolare l'insegnamento evangelico, doveva tradursi in vita. Il Vangelo voleva testimoniare attenzione a chi è più in sofferenza, a chi dispone di meno mezzi, invitando ad attivare i ragazzi ad aiutare chi era nel bisogno.

Da dove traeva questi insegnamenti educativi? Portò a scuola la rivista Città Nuova, che ci sfogliava in particolare nella sezione dedicata alle esperienze di vita e di Vangelo vissuto.

Personalmente incuriosito gli chiesi di poter abbonarmi a quella rivista: trattava anche dei problemi della società in modo davvero singolare e nuovo. Fu così che ci aiutò non solo a conoscere una Chiesa della dottrina e dei Sacramenti – che pur sempre erano anche il centro della sua vita di prete – bensì ad “avere attenzione a chi è nel bisogno”.

Viveva con i suoi genitori nella canonica di Beolo. Non mancò di farci conoscere anche i suoi fratelli: il suo fratello, padre Giorgio, missionario saveriano, che quando rientrava raccontava della sua vita di missione e delle necessità. Non solo gli era così affezionato da promuovere collette di fondi per il fratello missionario nelle isole dell’Indonesia, ma anche al punto di donargli un rene quando si ammalò. Ci fece conoscere anche le altre sorelle come suor Paola, figlia di Maria Ausiliatrice.

C'era poi tutta la vita della parrocchia, compresa la necessità di portare i ragazzi a fare nuove esperienze.

Tra i ricordi, visto che in alcuni momenti mi ero aggregato alla parrocchia di Beolo, ci accompagnò ad uno spettacolo fatto da dei ragazzi che si svolgeva presso l'Istituto Configliachi di Padova. Era uno spettacolo di musiche ed esperienze di Vangelo vissuto. Eravamo in un luogo dedicato ai ciechi e alla loro scolarizzazione, fu altrettanto un modo di conoscere un mondo di bisogni a noi ragazzi sconosciuto.

Organizzava le vacanze estive per i ragazzi della parrocchia: forse era il 1977 e mi aggregai a loro. La località che utilizzava era Valstagna, uno tra i primi paesi della Valsugana.

Utilizzava una casa davvero in condizioni precarie di proprietà di un amico prete, don Teresio. Per raggiungerla serviva percorrere una mulattiera irta. La casa non era dotata né di servizi igienici, né di acqua corrente, né di elettricità. Sono state comunque vacanze accompagnate da spensieratezza e da approfondimenti tra ragazzi indimenticabili.

Procurava sempre delle curiosità. Quella che ha segnato anche la mia vita fu conoscere come la sua vita era intrisa della spiritualità del Movimento dei Focolari. Dentro quella rivista, Citta Nuova, a cui chiesi di abbonarmi, trovai la novità del 1978: si svolgeva a Vicenza nel Palasport una sorta di vacanza chiamata Mariapoli. La durata era di circa una settimana. Ci andai: fu un’esperienza davvero innovativa. Il palasport era zeppo, credo ci fossero oltre tremila persone. Il tema era “La carità come ideale”.

Gli anni successivi in cui rimase a Beolo furono anni di famiglia: don Paolo era ospitale e la sua casa e canonica erano sempre fucina di incontri e di azioni. Proprio così: anche di azioni missionarie, di promozioni librarie e di attenzione agli ultimi. L’amicizia con don Paolo continuò anche dopo la sua partenza verso Valnogaredo e poi a San Giacomo di Albignasego.

Tante le occasioni di passare a trovarlo e raccontarci come stavano crescendo nuove esperienze di vita. A Valnogaredo si andava addirittura in bicicletta.

La malattia lo segnò e la necessità di cure lo portò anche a prolungati ricoveri a Milano al San Raffaele. Fu proprio lì che lo incontrammo per l'ultima volta: appena reduce da un complicato e delicato intervento per il tumore che lo aveva preso

Le notizie continuavano a giungere, si capiva ormai che la sua vita qui stava concludendosi. Era l’autunno del 1995.

La sua era fedeltà alla vocazione: era sempre attorniato anche da numerosi sacerdoti amici con cui faceva famiglia.

In tutti i luoghi in cui era stato aveva mantenuto legami di amicizia. Le sue erano parole dai suoni dolci ma ferme, dai contenuti non moralistici ma della vita concreta.

Conosceva le persone nel bisogno ed erano le sue principali preoccupazioni; dalle necessità di ricerca lavoro a quelle educative dei figli a quelle di sostegno economico per indigenza. Non mancavano gli appelli a “guardare gli ultimi”, andare nelle case per recuperare le persone alla fede ma soprattutto alla dignità di vivere.

Beolo era per noi una piccola Barbiana!

La parrocchia, dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria, era fulcro della vita di una famiglia estesa. Questa l’atmosfera che vi seppe infondere don Paolo: rendere i problemi delle persone dei motivi di aggregazione per far sì che, nella grande famiglia della parrocchia, si potessero trovare soluzioni, si motivassero le persone alla partecipazione non solo delle liturgie ma della presa in carico dei più deboli.

La parrocchia una grande casa aperta, la casa di tutti, un “cuore pulsante”, come quello di Gesù e Maria, dove prendere alimentazione spirituale e trovare soluzioni per l'umanità. Ci abituò ad entrare nelle case dei poveri con discrezione con quella dignità da dare a tutti, a cercare chi fosse ammalato perché c'era in esso l'immagine di un fratello da “amar per primo”. Ci abituò a coltivare una spiritualità interiore con la preghiera personale e collettiva.

Fu un maestro nella cura della confidenza! In molti facevano confidenze a lui, ed erano sempre fatte a lui e lui le riservava e custodiva come un buon padre.  Erano in un cuore sicuro, erano al lavoro per tradurle in soluzioni di conflitti familiari, in soluzioni di conflitti tra vicini e tanto altro.

Le confidenze son cose delicate e in un cuore puro come il suo erano al sicuro!

Un amico di don Paolo Paiusco

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