25 maggio. Camilliani e ospedale in festa

La comunità camilliana del policlinico di Padova festeggia, giovedì 25 maggio, il suo santo fondatore. Appuntamento alle 17 nella chiesa del Monoblocco per la messa presieduta da mons. Adriano Tessarollo, vescovo emerito di Chioggia. Dal 22 al 24, alle 7, triduo di preparazione (messa con breve riflessione). 

25 maggio. Camilliani e ospedale in festa

San Camillo de Lellis nasce a Bucchianico (Chieti) il 25 maggio 1550 e muore a Roma il 14 luglio 1614. Da giovane conduce una vita dissipata. Poi, a 25 anni, si converte a Dio. Ricoverato, per malattia, all’ospedale San Giacomo di Roma, fa una singolare esperienza: vedendo le misere condizioni dei malati e la scarsità dell’assistenza, segue l’ispirazione di dedicare il resto della vita al servizio dei sofferenti. Per questo fonda un ordine religioso, con il compito di assistere fisicamente e spiritualmente i malati. Viene elevato agli onori degli altari nel 1747, più tardi, è proclamato “Patrono universale dei malati e degli operatori sanitari”

La Costituzione dell’Ordine camilliano afferma: «San Camillo, oggetto egli stesso della misericordia, fu scelto da Dio per assistere gli infermi e per insegnare agli altri il modo di servirli». La situazione degli ospedali italiani alla fine del ‘500 lasciava alquanto a desiderare, l’assistenza era largamente inadeguata o del tutto carente, e i malati vivevano spesso nella più completa emarginazione. San Camillo si sentì chiamato a un’opera di riforma che lo impegnò personalmente, e “contagiò” beneficamente la società del suo tempo. Lo possiamo, quindi, definire un “riformatore sanitario” in piena regola, capace ancor oggi di suggerire ai cristiani del mondo attuale i principi basilari ed i modi operativi per attuare una “riforma sanitaria” che corrisponda alle fondamentali esigenze evangeliche.

Come san Camillo realizzò la “sua” riforma sanitaria?

Riforma del concetto di “malato”  

Ai tempi di san Camillo, a Roma come altrove, l’ospedale era un estremo rifugio per i disperati. Mentre, infatti, i ricchi e i benestanti erano assistiti nelle loro case da medici privati, all’ospedale affluivano i poveri di ogni genere, abbandonati, vagabondi, gente affamata e macilenta, nonché una marea di contagiosi rifiutati dalla società. Quando questi non potevano, o non volevano entrare nell’ospedale, si trattenevano nelle loro misere abitazioni o, se non avevano nemmeno un’abitazione, si rifugiavano nelle “grotte romane”, cioè negli anfratti dei ruderi dell’antichità classica, o sotto gli archi dell’acquedotto dell’agro romano. La società rinascimentale li ignorava, li riteneva gli ultimi e li emarginava. 

La cultura umanistica esaltava l’uomo come l’essere sommo al centro dell’universo. Ma quale uomo? L’uomo ideale, l’uomo eccezionale, l’individuo geniale, l’artista creatore, il principe astuto e forte, l’invitto capitano di ventura, lo scopritore di nuovi mondi. Ma il poveraccio senza prestigio e senza potere, e per di più malato e malandato, non trova in questa cultura nessuna considerazione.

San Camillo, invece, li cerca, li assiste, ne fa  “i primi” in senso assoluto. Voleva dedicarsi a Dio nella preghiera e nella penitenza, e Dio, invece, lo mette di fronte al malato e al povero. Voleva servire Dio in convento, secondo la tradizione ascetico-monacale, e Dio, invece, lo porta all’ospedale al servizio di questa misera gente, a “servire i poveri infermi, figlioli di Dio e miei fratelli”.

Da buon convertito vede innanzitutto i “figli di Dio”, ma assai spesso li chiama “miei fratelli” con una commozione umana e una immedesimazione con la loro sorte che supera tutte le teorizzazioni sul concetto di uomo che facciamo spesso noi moderni.

Il malato è per San Camillo veramente “un uomo”, un uomo concreto, un pover’uomo, povero di beni ma povero soprattutto del bene della salute. Prima “vede” quest’uomo e poi “discute” i suoi diritti. I “diritti” del malato non sono per lui dei principi stampati sulle costituzioni o nelle leggi, ma sono i “bisogni concreti” che esigono una risposta da chi sta attorno ai malati stessi. Così il concetto di persona non è per San Camillo un’astrazione filosofica, ma qualcosa di concreto e di sofferto.

Il malato, per usare le espressioni del Santo, è “la persona stessa di Cristo”, è “pupilla e cuore di Dio”, è “mio signore e padrone”. Anche al miscredente, al blasfemo, a quello che l’insulta, Camillo dice: ”Tu mi puoi comandare ciò che vuoi…”.

Riforma del servizio al malato

San  Camillo si dedica a “tutto” l’uomo e non solo alla sua malattia. Egli ha capito che l’uomo entra in ospedale con tutto se stesso, non lasciando fuori niente della sua persona e personalità; porta i suoi quattro stracci ma anche il suo spirito libero ed immortale.

E questo valeva innanzitutto per la classica divisione di bisogni del corpo e di bisogni dello spirito. San Camillo istituì, quindi, l’ordine religioso dei Ministri degli infermi, con “due ali”, come diceva, padri efratelli, con uguale dignità, in servizi distinti e complementari, che trovano unità nell’approccio “globale” alla persona del malato.

Quello che più conviene qui far risaltare è la totalità di servizio che Camillo ha affermato in rapporto alla persona umana, anche solo nel campo dell’assistenza corporale ed infermieristica, dettando subito delle norme per rispondere a tutte le necessità personali, non ridotte alle prestazioni cliniche essenziali, ma estese a tutte le esigenze che gli operatori di allora, e forse anche quelli di adesso, sono pronti a trascurare. 

Quando Camillo, per fare un esempio, raccomanda di curare la pulizia della bocca e dei denti dei malati; quando insegna a fargli bene il letto; quando scrive ai responsabili di un ospedale che si dia ad ognuno le maglie di lana o la vestaglia contro i rigori del freddo, e raccomanda in mille toni l’igiene dell’ambiente, è chiaro che San Camillo pensa di dare al malato una “casa”, un’accoglienza ed un’assistenza decorosa e familiare che lo sollevi il più possibile dai disagi, e non gli dia la sensazione di essere diventato “un oggetto” fuori uso. 

Riforma del personale di assistenza

Un terzo aspetto della riforma riguarda il personale di cura e di assistenza. Fortunatamente, dice, San Camillo, tra gli inservienti qualche brava persona c’era, e inoltre c’erano alcuni volontari che venivano a dare da mangiare agli ammalati in ore determinate. Camillo fece forza su di loro. Cominciò  quindi a realizzare l’idea che aveva avuta e giudicata come un’ispirazione nella festa dell’Assunta del 1582: radunare un gruppo di persone oneste e laboriose che si dedicassero ai malati gratuitamente e per amor di Dio. E così con l’aiuto dei primi compagni che trovò, generosi e convinti, diede inizio alla riforma dell’assistenza in quel primo ospedale.

Agendo in prima persona fece capire quanto doveva essere cambiato. Fece  lezioni pratiche di assistenza e poi ne sintetizzò i precetti anche per iscritto, lui così poco incline alle lettere e agli studi a tavolino. Ecco, infatti, un primo documento di riforma sanitaria: «Ordini et modi che si hanno da tenere negli Hospitali in servire li poveri infermi». Sono 25 articoletti concreti e pratici, un codice deontologico del 1584, con l’unica pretesa di raggiungere uno scopo: «Acciò possiamo servire i malati  con ogni carità così dell’anima come del corpo, desideriamo perché con la grazia di Dio servir a tutti gli infermi con tutto l’affetto che suol fare un’amorevol madre al suo unico figliolo infermo». 

La compagnia religiosa dei Servi degli infermi in poco tempo si sviluppò e si diffuse in comunità d’accoglienza un po’ in tutta Italia. Preoccupazione costante di Camillo fu quella di formare i nuovi aderenti (e di confermare i già operanti) alla loro missione di “servitori degli infermi”, visitando con frequenza le comunità e gli ospedali, e sostando a lavorare con i suoi compagni. Pretendeva in essi senso umano e spirito cristiano; conoscenza adeguata alle regole di assistenza e dedizione totale ed affettuosa al malato. 

 

Per quarant’anni l’ospedale fu la casa di Camillo. L’ospedale era la scuola in cui egli addestrò centinaia di giovani al servizio della carità, con il suo esempio e con i suoi preziosi insegnamenti contenuti nelle sue Regole per servire con ogni perfezione gli infermi: un codice di assistenza sanitaria che fu presto applicato in vari ospedali d’Italia.

San Camillo morì a Roma il 14 luglio 1614 (memoria liturgica). La Chiesa ha riconosciuto che San Camillo ha raggiunto la perfezione della carità, elevandolo all’onore degli altari. Benedetto XIV lo beatifica nel 1742, canonizzandolo quattro anni dopo, nel 1746, come iniziatore di una Nuova Scuola di Carità.

Nel 1886, san Camillo è proclamato da Leone XIII, insieme a San Giovanni di Dio, Patrono universale dei malati e degli ospedali di tutto il mondo. Nel 1930, Pio XI lo dischiara, Patrono degli infermieri e Protettore del personale sanitario ospedaliero.

Il titolo di Patrono particolare della Sanità Militare Italiana gli viene conferito da Paolo VI nel 1974.

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