Amministratori, non padroni. Nulla ci appartiene, tutto viene da Dio

La logica del donare tutto e non trattenere per sé alla base del Vangelo dell’amministratore disonesto lodato da Gesù. Di don Gabriele Pipinato, vicario episcopale per i beni temporali della Chiesa

Amministratori, non padroni. Nulla ci appartiene, tutto viene da Dio
Rendi conto della tua amministrazione perché non potrai più amministrare (Lc 16,2)

Fossimo padroni, avremmo nulla di cui rendere conto. Ma non lo siamo. Tutto quello che abbiamo, ci è stato affidato con amore e immensa fiducia: ne siamo amministratori. Con la nostra morte arriva il tempo in cui non potremo più amministrare, ma solo rendere conto di come abbiamo trafficato quei talenti che ci erano stati affidati: in quel giorno capiremo che non siamo mai stati padroni di nulla. Il Vangelo di Luca lo ribadisce in maniera cruda al capitolo 12, laddove Gesù narra la parabola del proprietario stolto per stigmatizzare una vita sprecata ad ammassare ricchezze: un uomo folle che accumula per assicurarsi un futuro e invece viene la sua fine e crolla l’illusione di poter scongiurare la morte attaccandosi alle ricchezze.

Per questo Gesù diventa così radicale nel suo ammonimento: «Nessun servitore può servire due padroni [...], non potete servire Dio e la ricchezza». Anche i Padri della Chiesa denunciano la fiducia nel denaro che si sostituisce alla fede: «Colui che non ha fede, ama il denaro per nasconderlo e tenerlo in serbo, per paura della fame o della vecchiaia o della malattia o dell’esilio; egli spera nel denaro più che in Dio, il Creatore di tutto, colui che a tutto provvede, fino agli ultimi e ai minimi esseri viventi» (Massimo il Confessore).

Dopo cinque meravigliosi capitoli, dal 12 al 16, il vangelo di Luca ci svela la verità su chi siamo: non proprietari ma amministratori. Biasima il proprietario stolto e loda l’amministratore scaltro.

Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza (Lc 16,8)

Questa lode accordata a uno che ha fatto il furbo piace poco: Gesù lo sa ma ci provoca a cambiare prospettiva. Prima questo amministratore spadroneggiava e prendeva per sé quello che non gli apparteneva ma, a fine parabola, cambia strategia e inizia a dare tutto agli altri. Poco importa se quello che elargisce non è di sua proprietà: va bene così, perché nulla ci appartiene davvero e tutto quello che abbiamo è di Dio. Quello che conta è il cambiamento avvenuto: non accumula più per sé, ma dà agli altri e così facendo assomiglia al Padre che dona tutto a tutti. Non pone più la sua fiducia nelle cose che prende per sé, ma investe nelle persone che lo potranno aiutare: per questo merita la lode.

L’economia di questo Vangelo mostra criteri inauditi, eppure semplicissimi: nulla ci appartiene, tutto viene da Dio come dono; se a nostra volta elargiamo, diventiamo davvero suoi figli perché assomigliamo al Padre.

…fatevi degli amici con la ricchezza disonesta… (Lc 16,9)

Fatevi furbi – dice Gesù – come questo amministratore che ha usato i beni di cui disponeva per farsi tanti amici. È l’opposto di chi si sente padrone di quanto dispone e finisce inevitabilmente per crearsi dei nemici: perfino i fratelli di sangue possono diventare avversari accaniti e l’eredità può divenire terreno per litigare invece che spazio per la gratitudine e la riconoscenza. È così: quando ci sentiamo padroni, ci sembra di dover difendere le nostre ricchezze da eventuali insidie e gli altri diventano improvvisamente tutti usurpatori e potenziali rivali. Così facendo ci si scava la fossa da soli e la vita diventa quell’inferno che Gesù vorrebbe tanto risparmiarci: l’accumulo fine a sé stesso è il sintomo peggiore di una mancanza di fede che si riempie della paura che blocca, imprigiona e rende incapaci di vedere i bisogni degli altri. Abbiamo la tremenda e meravigliosa libertà di scegliere: creare in questo mondo un inferno insopportabile dove regna il sospetto e tutti sono nemici, oppure un paradiso dove la condivisione di quanto ricevuto aiuta a diventare amici di tante persone e solidali con chi è nel bisogno. L’unico terreno che non è mai sterile è proprio quello della gestione dei nostri beni, perché produce sempre il suo frutto: quello amaro dell’inimicizia o quello dolcissimo della fraternità.

Per questo Madre Teresa di Calcutta insisteva nel dire che una spiritualità che non intacca il portafoglio è pericolosa perché illude di poter accontentare Dio con delle pratiche religiose: ma, senza compassione e senza amore per i fratelli più bisognosi, Dio si sente non riconosciuto come Padre. Condividere con loro i nostri talenti, il nostro tempo e anche il denaro che abbiamo a disposizione significa vivere la fraternità in modo autentico e questo diventa il frutto maturo di un cammino di conversione: nessuna spiritualità è più lontana dal Vangelo di quella che ci porta a essere felici da soli, disinteressandoci degli altri. Per questo papa Francesco arriva a dire: «Quando condividete e donate i vostri profitti, state facendo un atto di alta spiritualità».

Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne (Lc 16,9)

Ho conosciuto tante persone che hanno saputo donare tutto quello che avevano ricevuto: talenti, entusiasmo, risorse. Hanno agito «come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta a servizio degli altri» come direbbe l’apostolo Pietro. Tra tutti voglio ricordare suor Tiziana Ferraresso: ho avuto il privilegio di vivere con lei molti anni della mia esperienza di missione in Africa. Una donna ricca di doni che ha saputo condividerli con gli altri, creandosi tanti amici: un fiume di persone che anche dopo la sua morte la ricordano e la amano, perché solo quello che si dona rimane con noi per sempre. Proprio così: solo quanto dato agli altri con amore abiterà con noi nelle dimore eterne. Suor Tiziana ha amministrato con saggezza i doni che aveva ricevuto, li ha fatti circolare, non ha trattenuto nulla per sé e ne ha ricevuto il centuplo in contraccambio. Il suo segreto stava nel modo in cui si percepiva: si sentiva figlia, amata, piena di fiducia nel Padre che si prende cura dei suoi figli e a questa cura ha voluto partecipare lei stessa, facendosi in quattro per tutti e in particolare per gli ultimi. In questo modo ha creato attorno a sé un piccolo paradiso di fraternità e benedizione. Certamente, il Padre avrà elogiato anche lei.

don Gabriele Pipinato
vicario episcopale per i beni temporali della Chiesa

Il libro

Il denaro in testa, saggio di Vittorino Andreoli (Rizzoli 2011, pp. 247), vede l’autore per la prima volta mettere sul lettino dello psichiatra i temi dell’economia, smascherando una società moderna ossessionata dal denaro e terrorizzata dallo spettro della povertà. Quando i soldi si insinuano nella vita delle persone instillando dubbi minano ogni sicurezza, mettono in crisi le certezze. Andreoli propone una riflessione su come anche l’etica sia potuta diventare oggetto di contrattazione, un percorso per riappropriarsi del vero significato della vita, delle relazioni e del vivere civile.

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