Caritas. Accoglienza generativa. È dalla capacità di creare uno spazio dentro di noi per l’altro che nascono gli atti delle comunità

È dalla capacità di creare uno spazio dentro di noi per l’altro che nascono gli atti delle comunità, delle Caritas parrocchiali, dei centri di ascolto vicariali. Accoglienza è creare lo spazio relazionale, non solo mettere a disposizione un luogo, in cui l’altro possa sentirsi capito, accolto e valorizzato. Come avviene a Casa Santa Chiara, dove da inizio anno sono accolte persone senza dimora. Qui, ad accoglierli, c’è un gruppo di volontari

Caritas. Accoglienza generativa. È dalla capacità di creare uno spazio dentro di noi per l’altro che nascono gli atti delle comunità

Le parole sono importanti, diceva qualcuno. Ma è ancora più importante, ribadiamo, poterci riappropriare della forza delle parole, anche di quelle che sono state travisate troppo a lungo. “Accoglienza” è una di queste parole. «Accoglienza – sottolinea il direttore di Caritas Padova, Lorenzo Rampon – è la capacità di creare uno spazio dentro ciascuno di noi per l’altro, perché questo possa esserci, dirsi, esprimersi». Ed è a partire da questa possibilità che nascono, come conseguenza naturale, i mille atti delle comunità cristiane, dalle Caritas parrocchiali e dei centri d’ascolto vicariali. Accoglienza di famiglie in canoniche dismesse, uno spazio per accogliere a tavola persone in difficoltà, lo sguardo e la compagnia di chi trascorre una notte con le persone senza dimora: sono alcune delle storie che raccontiamo in queste pagine. «Quando operiamo per l’accoglienza – aggiunge Rampon – non lo facciamo solo per offrire un tetto o un contesto abitativo, quanto per permettere a una comunità cristiana di aprirsi e di trovare spazio, dentro le proprie dinamiche, per accogliere l’altro. È accoglienza mettere a disposizione un luogo, ma è ancora più accoglienza creare quello spazio relazionale in cui l’altro non si senta straniero, ma capito, accolto e valorizzato come persona».

Priorità per i gruppi Caritas di discernimento sinodale
I gruppi di discernimento per il Sinodo diocesano, composti da volontari Caritas in parrocchie e vicariati, hanno riflettuto molto sul tema dell’accoglienza. Ancora una volta uno stile, più che una lista di cose da fare. «L’accoglienza – spiega Rampon – rientra nel bisogno sentito da molti di “ripulire” la parrocchia da tante questioni di tipo formale e burocratico, per ridarle un volto capace di prestare attenzione alle persone, anche tra gli stessi operatori parrocchiali». In questo senso, dunque, la sapienza a cui si afferisce è il vissuto concreto delle comunità cristiane, il tesoro dei doposcuola e delle scuole di italiano per i migranti, quell’imperscrutabile capitale sociale fatto dalle relazioni in centro
parrocchiale tra le donne italiane e le donne migranti, anche di religione islamica, quella capacità dei consigli pastorali di vedere nel vuoto di una canonica senza più un prete l’opportunità di un nuovo incontro con Cristo che arriva nel volto di chi ha bisogno.

L’accoglienza dei volontari
Caritas a Casa Santa Chiara Una dimostrazione di questo stile è la rinnovata partecipazione della Caritas diocesana al piano di accoglienza invernale che il Comune di Padova predispone per le persone senza dimora. In questo mese, nella Casa Santa Chiara delle suore Elisabettine – e con la gestione della cooperativa Cosep – è stata aperta un’accoglienza di sei posti letto. «Quest’anno – spiega Sara Ferrari della Caritas diocesana – non abbiamo messo a disposizione spazi in parrocchia per accogliere durante la notte i senza dimora, ma persone volontarie, che si sono rese disponibili, sino a fine febbraio, a offrire tempo, energie e relazione per passare una notte con loro». La formula è semplice: il volontario arriva in serata a Casa Santa Chiara; qui, dalle 20.30 alle 23, trova anche l’operatore della cooperativa per la gestione
dell’arrivo degli ospiti e di eventuali criticità... Poi, alle 23, l’operatore lascia al volontario il compito di restare durante la notte (in una stanza a lui riservata). Alle 7 il volontario – o i volontari, in caso di coppie di sposi o di amici – sveglia gli ospiti, offre loro la colazione e li fa uscire alle 8. Nel gruppo dei volontari – alcuni hanno dato disponibilità solo per una notte, altri per più notti – figurano al momento tre preti, i diaconi ordinati quest’anno, un gruppo di alpini e persino i membri di una società sportiva di rugbisti. Con una lettera la Caritas diocesana ha invitato a prendere parte a questo “esercizio di accoglienza” anche i dipendenti degli uffici diocesani. «È una piccola proposta che, però, potrebbe raccontare una Chiesa unita e attenta a chi è in difficoltà».

L’esperienza di Ivan, Loris e Francesco, diaconi
Le notti tra domenica e lunedì del mese di gennaio sono state “affidate” a Loris Bizzotto, Ivan Catanese e Francesco Trovò. Segni particolari: diaconi da ottobre 2022, presto preti. «Il rettore ci ha fatto questa proposta e noi l’abbiamo
accolta, in semplicità – spiega Ivan Catanese, originario di Perarolo di Vigonza e in servizio, come diacono, nelle parrocchie del Comune di Campodarsego e nella Caritas diocesana – La Caritas ha scelto di non coinvolgere un operatore a tempo pieno, ma trasformare questo bisogno in uno stimolo per educare le comunità alla carità. Non è un servizio riservato a professionisti o a pochi volontari, è compito dell’intera comunità quello di prendersi cura delle povertà della parrocchia». La carità, dunque, più come un essere, uno stare, uno stile di attenzione all’altro che come un fare: «Certamente ci sono necessità e bisogni a cui siamo chiamati a rispondere anche materialmente – evidenzia Catanese – ma la carità è uno stile che dal punto di vista teologico è un riflesso dell’amore intra-trinitario. Siamo cioè chiamati ad amare il prossimo come le tre persone divine – Padre, Figlio e Spirito Santo – si amano tra loro e si aprono al mondo nell’amore».

Numerose, in Diocesi, le esperienze di accoglienza
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L’accoglienza non è fare, ma... qualcosa di diverso. Ne riflettiamo in queste due pagine, grazie alla Caritas diocesana, a partire da una nuova accoglienza a Padova per le persone senza dimora. Qui – ma anche alla Mensa di solidarietà a Solagna e nella canonica di Ca’ Onorai... e in altre esperienze di accoglienza – aprire il proprio cuore all’altro è un “allenamento” possibile a tutti.

Sensibilità e discrezione nell’accoglienza

Gli ospiti dell’accoglienza di Casa Santa Chiara sono persone senza dimora, di varie nazionalità e di vari trascorsi. Ai volontari viene richiesto di essere lì per loro senza sentire l’esigenza di avventurarsi in discorsi impegnativi. «Chiediamo sensibilità e discrezione – sottolinea Sara Ferrari – non è opportuno che questo tipo di accoglienza diventi un modo per entrare nel privato delle persone. Poiché i volontari cambiano serata dopo serata, certi discorsi rischiano di diventare stressanti e indelicati. Se gli ospiti vorranno fare quattro chiacchiere va bene, altrimenti, è giusto anche dare loro l’opportunità di coricarsi in silenzio dopo una giornata al freddo».

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