Cento anni di comboniani a Padova. La testimonianza di alcuni tra i missionari padovani

Vescovi, padri, consacrate, laici. Esperienze diverse accomunate dalla passione per l’annuncio del Vangelo

Cento anni di comboniani a Padova. La testimonianza di alcuni tra i missionari padovani

Il caleidoscopio di voci comboniane in occasione del centenario padovano si apre con mons. Rino Perin, nato a Rivale di Pianiga ma emigrato in Piemonte fin dall’infanzia. Da due settimane è parte della comunità di via San Giovanni di Verdara e porterà a Padova la sua inestimabile esperienza di pastore per ben 26 anni della Diocesi di M’baiki, nella Repubblica Centro Africana. «Mi preme anzitutto esprimere riconoscenza alle autorità e al popolo padovano per la testimonianza di fede e per l’aiuto concreto che li ha caratterizzati in questi decenni», sottolinea. Mons. Perin, dal 1980 al 1985, ha diretto il seminario minore comboniano di Thiene. «Grazie anche a nome di tutti quei giovani che hanno potuto realizzare la loro vocazione missionaria con l’aiuto di questa presenza comboniana qui a Padova. Nel mondo, hanno testimoniato e ancora testimoniano la vostra visione di Chiesa e la vostra operosità».

Il telefono di padre Diego Dalle Carbonare, originario di Cogollo del Cengio, squilla direttamente da Kartoum, Sudan, dove dirige il Comboni college, duemila studenti dai 5 ai 18 anni. «Gli anni di Padova rimarranno indelebili nella mia memoria – ci racconta – Il seminario, l’ingresso nella vita missionaria, i grandi ideali, ma anche il grande divertimento, grazie a incontri, viaggi, gite. Erano in corso i lavori che hanno dato la possibilità di ospitare associazioni di volontariato ecclesiali e non solo. La comunità era bella e aperta con missionari giunti da Ecuador, Perù, Congo, Brasile: padre Enzo Balasso, che ha fatto un grande lavoro di animazione missionaria in Diocesi, poi c’erano i padri Daniele Moschetti, Mosè Mora, Dario Bossi, Manuel Ceola e fratel Claudio Parotti. Nei decenni la casa dei comboniani è stata per Padova una finestra aperta sul mondo. Il mio augurio è che continui a esserlo, per portare il mondo a Padova e Padova nel mondo, per essere ponte tra persone e generatore di esperienze».

Silvia Sartori è una giovane studentessa di lingue a Padova quando la sua strada incrocia quella dei Comboniani. Sono i primi anni 2000 e si ritrovava fra le mani il mensile Nigrizia. Pagina dopo pagina quei racconti di terre lontane aprono il suo cuore. La giovane scrive a padre Dario Bossi e lui la invita al Gim. «Gli occhi dei missionari – racconta suor Silvia – trasmettevano gioia mentre raccontavano le storie di popoli lontani. Una gioia semplice e pura che non avevo mai visto». Inizia il suo personale cammino di discernimento che nel 2006 la introduce al postulato. Da Piove di Sacco parte per due anni a Granada, torna in Italia per il noviziato e infine trascorre quattro anni in Ecuador. Oggi è in Perù per avviare processi di integrazione della popolazione più povera del Paese.

Accoglienza, sorpresa e spiritualità sono le tre parole chiave che fratel Alberto Parise usa per spiegare il suo essere Comboniano. Erano gli anni Novanta e, da studente di architettura, viveva al Torresino, e non capiva bene quale sarebbe stata la sua strada da grande. Durante un incontro di spiritualità a Monselice viene colpito dall’accoglienza dei gruppi Gim e comprende che la spiritualità nasce dalla riscoperta della parola di Dio come chiave di lettura del mondo. Queste le basi della sua scelta missionaria che lo hanno portato per 18 anni in Kenya, prima nel ministero sociale nelle barracopoli poi come direttore di quello che oggi è l’Istitute for social transformation del Tangaza University college. Oggi è nell’équipe del Segreteriato generale della missione.

Teresa Zenere, di Centrale di Zugliano, ha trascorso ben 21 anni fino al 2014 tra Ecuador, Messico e Costa Rica, oltre a un’esperienza di volontariato alla Emi. È una delle secolari la cui vocazione è nata attorno al seminario di Thiene e tutt’ora sono attive nell’animazione missionaria. «Il carisma missionario è uno dei motori della Chiesa – riflette – ed è particolarmente in sintonia con il magistero di Francesco. La Chiesa in uscita non può che essere a contatto con le ferite dell’umanità e prendersi cura della carne di Cristo. Tutto questo oggi è necessario anche in Europa, non solo in terre lontane. Mons. Leonidas Proaño, uno dei vescovi profeti dell’Ecuador, sosteneva che alla fine della vita “restano gli alberi che hai piantato”. Dopo cento anni vediamo come il bene fatto non si è disperso, i Signore è sempre all’opera, gioiamo di tutto il bene di questo secolo di storia».

Josè Speggiorin ha 68 anni e si sente parte della famiglia comboniana da quando era trentenne cioè dal giorno in cui ha seguito a Padova la sua prima domenica Gim. «In quegli anni ero alla ricerca di un’esperienza forte che desse un senso alla mia vita e l’idea di partire in missione mi parve fantastica». Così da Albignasego, dopo due mesi di preparazione, Josè parte con un padre comboniano per la Repubblica Centro Africana e inizia la sua avventura spirituale che negli anni lo ha visto tra i fondatori di Unica Terra, tra gli organizzatori della prima Festa dei popoli. Oggi è padre di cinque figli e prosegue il suo cammino come laico missionario comboniano.

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