È la solitudine che ci inganna. La truffa è in agguato quando pretendiamo di agire in proprio. La riflessione di don Gabriele Pipinato

La truffa è in agguato quando pretendiamo di agire in proprio. Mai come oggi, specie in campo economico, è essenziale farsi aiutare, con umiltà, da chi ha le competenze necessarie

È la solitudine che ci inganna. La truffa è in agguato quando pretendiamo di agire in proprio. La riflessione di don Gabriele Pipinato

Avevo sette anni e nei giorni della Sagra di san Martino il mio paese si animava di novità che mi riempivano di meraviglia. Tra queste, ricordo un baraccone dove si proponevano delle grandi scatole bianche chiuse da un magnifico nastro a chi aveva il coraggio di impegnare mille lire su promesse di grandi premi. Vidi con i miei occhi vincere una bicicletta e un giradischi... non potevo certo immaginare che fossero vincite fasulle orchestrate per ingannare i creduloni come me.

Tuttavia, a quei tempi, mille lire erano una cifra enorme per un bambino e allora corsi da mio padre e gli spiegai che non c’era tempo da perdere: la nostra scatola miracolosa ci aspettava! Lui mi guardò con tenerezza, estrasse la banconota e mi disse: «Queste mille lire ti insegneranno una lezione molto importante. Te le do volentieri a condizione che apriamo la scatola insieme». Detto, fatto.

Mi ripresentai con il fiatone e il pacco tra le braccia: era pesante e non vedevo l’ora di dimostrare a papà che avevo azzeccato il mio primo investimento. Tolto il fiocco con trepidazione, aprii: dentro c’era un pietrone piatto incollato alla scatola e pitturato con un’immagine che non ricordo nemmeno, mentre ricordo bene la delusione e la rabbia che si trasformò in pianto. Mio papà aspettò che mi calmassi e poi disse: «Gabriele, non ascoltare mai chi ti propone un affare troppo bello, ma non piangere per le mille lire perché quelle sono state spese bene e ti hanno permesso di imparare qualcosa che non dimenticherai».

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Non l’ho dimenticato.

Perché sono caduto in quell’inganno? Perché ero solo e come Pinocchio mi sono fatto imbambolare dal gatto e dalla volpe.

Ma cadere vittima di truffe non è cosa solo da bambini, anzi capita più spesso agli adulti. Anche a noi preti, specie se si agisce da soli. Lavorando in economato, mi è capitato di accompagnare qualche confratello che, con grande generosità o spinto dal desiderio di aiutare chi astutamente fingeva un bisogno, è stato vittima di truffe.

«Sono deluso e amareggiato per quanto mi è successo – mi raccontava uno di loro – dapprima quella persona così umile ha conquistato la mia fiducia. Quando mi ha raccontato le disgrazie che le stavano capitando, l’ho aiutata e ho chiesto ad altre persone di contribuire per soccorrere i suoi bisogni. Ho usato anche soldi della parrocchia perché mi sembrava un’opera di carità del tutto meritevole. A un certo punto, le richieste mi creavano imbarazzo e sono diventate una spirale alla quale non riuscivo a sottrarmi: ultimamente mi chiedeva soldi per sbloccare una vendita che avrebbe permesso la restituzione di quanto a mia volta avevo chiesto in prestito. Non ho mai dubitato dell’onestà di questa persona fino a quando la guardia di finanza mi ha messo davanti all’evidenza. Mi sento umiliato e disperato perché devo ripagare tante persone che si sono fidate di me e non so proprio come fare».

Ascoltando lo sfogo di questo povero prete ho sentito tanta compassione: si rimproverava di avere agito senza prudenza. In realtà il suo errore è stato quello di non essersi confrontato con altri. Il suo problema non è stato l’ingenuità, ma la solitudine. Ha voluto fare tutto da solo e i truffatori cercano le loro vittime proprio tra chi agisce nell’isolamento.

Ma se fare la carità è una cosa bella perché non farla insieme? Oppure, se una ristrutturazione è un impegno complesso, perché non portarne il peso con gli altri fratelli? Perché non fare proprio come gli apostoli che hanno voluto farsi aiutare in quello che non era di loro competenza?

«Pertanto, fratelli, cercate di trovare fra di voi sette uomini, dei quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico».

Ecco il segreto: mai da soli, meglio fare le cose insieme. Certo, può sembrare più complesso e più laborioso, ma come dice un proverbio africano: «Se vuoi andare veloce, vai da solo; se invece vuoi andare lontano vai con gli altri». Per questo la Chiesa ha voluto in ogni parrocchia un consiglio per la gestione economica. Scegliere i collaboratori giusti, «dei quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza» è fondamentale e chiede l’umiltà di selezionare chi è più bravo di me e può avere un pensiero diverso dal mio. Non chi è pronto a dirmi di sì, ma chi sa mettersi a servizio della comunione con competenza e amore. È spesso più facile predicare la fede in un Dio che rimane lontano, piuttosto che avere fiducia nei miei fratelli che sono vicini. Gesù ha creduto nei dodici e non ha avuto paura di lasciare tutto nelle loro mani, perfino in quelle di Pietro che lo aveva rinnegato. Senza fiducia non cresce nulla, tantomeno la corresponsabilità.

«Quanto a noi, continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola».

Ho incontrato tanti preti che sono veri artisti nello scovare collaboratori motivati e nel coinvolgere la comunità: interpretano così bene il ruolo di direttori d’orchestra che sanno valorizzare le capacità degli altri musicisti. Per quanto uno sia bravo, se pretende di suonare tutti gli strumenti da solo, non ci sarà nessuna musica.

Specialmente in campo amministrativo, competenze e abilità specialistiche sono oggi quanto mai necessarie e il coinvolgimento di coloro che possono offrirle, non solo ci eviterà il pericolo di cadere nelle truffe, ma forse ci lascerà anche lo spazio necessario alla preghiera.

Quando il profeta Elia si sentì solo e abbandonato da tutti, ritrovò proprio nel silenzio e nell’intimità con il suo Dio quel “mormorio di una brezza leggera” che gli permise di uscire dalla depressione. Nella preghiera, Dio lo rincuora e gli mostra tre persone di cui lui non si era nemmeno accorto, ma che possono aiutarlo: Hazaèl, Ieu ed Eliseo. Non bastasse, Dio rassicura Elia: «Io poi mi sono risparmiato in Israele settemila persone» (1Re 19).

Forse solo «dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola» potrà restituire quella fiducia e quella speranza che permette anche a me di trovare i miei tre e i miei settemila: insieme, mai da soli, potremo imparare a sorridere di chi vende scatole ben infiocchettate ma sempre, drammaticamente, vuote.  

don Gabriele Pipinato
vicario episcopale per i beni temporali della Chiesa

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