Faccia a faccia con i poveri. Le storie dei giovani che hanno trascorso parte dell'estate alle Cucine popolari

L'estate nell'anno del Covid ha permesso esperienze nuove e preziose. Molti ragazzi hanno aderito alle proposte della Diocesi. L'incontro con le vittime della cultura dello scarto li ha cambiati. Alle Cucine popolari si tocca con mano come il Vangelo sia attuale e rivoluzionario anche oggi

Faccia a faccia con i poveri. Le storie dei giovani che hanno trascorso parte dell'estate alle Cucine popolari

Un’estate piena. Un tempo ben speso. Un viaggio a pochi chilometri da casa, che però ha fatto conoscere situazioni apparentemente lontanissime dalla quotidianità. Sono molti i giovani e i giovanissimi, provenienti dalle parrocchie della Diocesi di Padova, che per l’estate 2020, in mancanza di campiscuola e pellegrinaggi, hanno accolto le proposte della Chiesa padovana, della Pastorale dei giovani e della Caritas diocesana, per dedicare un po’ del loro tempo, dopo i mesi di quarantena, al servizio al prossimo.

Tra le mete di questi “campi lavoro di prossimità” tanti giovani hanno scelto le Cucine economiche popolari di Padova, realtà rimasta sempre aperta anche nelle settimane più drammatiche dell’emergenza sanitaria, per collaborare nella distribuzione dei pasti, nell’accoglienza degli ospiti e nella valorizzazione degli spazi esterni.

Annalaura Lazzarin, 17 anni, del gruppo scout Conselve 1, frequenta il liceo delle scienze umane al Cattaneo di Monselice. Per lei, la proposta di un campo di servizio alle Cucine popolari di Padova è arrivata un po’ inaspettata. «Prima del Coronavirus – racconta – ci aspettavamo di andare in Spagna per fare un “viaggio immenso”. Poi, però, il nostro capo scout è stato informato di questa possibilità: fare servizio qui a Padova per aiutare le persone in difficoltà. Così siamo venuti qui». L’estate di Annalaura è passata anche servendo ai tavoli, cucinando, tagliando verdure, riempiendo i vassoi e conoscendo altri giovani da altre parti della Diocesi: «Ho imparato a essere più paziente. Per servire gli altri ci siamo dovuti dotare di una “imbragatura” specifica. Se le persone che si presentavano davanti a noi avevano solo la mascherina, noi avevamo anche una visiera e altri dispositivi. Difficilmente così riuscivamo a capirci tra di noi, ma alla fine siamo sempre riusciti a mantenere la calma e a trovare un compromesso. Tutto questo mi ha aiutato a legare ancora di più con i miei compagni». Una crescita anche nella vita di fede: «Prima di andare a servizio, la mattina, ci siamo trovati con le suore a pregare. Ho imparato così ad avere un rapporto un po’ più concreto con Dio, ad avere momenti di intimità in preghiera. Mi ha aiutato molto: ho avuto una mano a cercare di capire davvero chi sono io».

(bold rosso) Letizia Bonato ha quasi 16 anni, viene da Bovolenta, dove fa parte dell’Azione cattolica, e studia al liceo linguistico Scarcele di Padova. Alle Cucine popolari è venuta da sola: «Con i ragazzi dell'Acr – racconta – a causa del Coronavirus non abbiamo potuto fare niente quest’estate, ma io non volevo rinunciare a mettermi al servizio». Oltre ai lavori in cucina, Letizia ha potuto conoscere una realtà caritatevole padovana come il Cuamm e vivere alcuni momenti di preghiera con le suore: «Anche se ho fatto l’esperienza da sola, mi sono sentita accolta proprio come in famiglia. Tutti hanno cercato di accogliermi al meglio. Ho imparato così ad aprire gli occhi, a eliminare i pregiudizi sulle persone che ci vengono imposti e ho capito che Dio, alla fine, è sempre presente, in ogni persona. Si vede».

Sara Michelini, 15 anni, della parrocchia di Sant’Antonino all'Arcella, è al terzo anno del Curiel. La proposta è arrivata da fra Simone Milani, dopo che il grest è saltato per il Covid. Anche per lei sono stati giorni di servizio, formazione, preghiera: «Conoscere questo ambiente e queste persone – confida – mi ha fatto molto bene. Una volta che ci si trova qui trovare il modo per dare una mano è molto semplice».

Elisa De Sandre, 23enne dell’up all’Arcella, studia economia e gestione dell’arte a Venezia: «Stare qui mi ha fatto comprendere come sia tanto facile parlare. Vedere però il prossimo davvero, volergli bene veramente è molto più difficile. Eppure, vedere e toccare con mano le persone, gli ultimi della società, ti offre un nuovo punto di vista, che potrai mantenere anche fuori di qui».

Andrea Zuliani, ventenne di Mejaniga, dopo aver frequentato l’istituto Severi ora studia per entrare alla facoltà di infermieristica. «Sono qui tramite il mio vicario parrochiale, don Alberto Arzenton, che ha proposto al gruppo giovani delle tre parrocchie di Cadoneghe questa esperienza al posto del camposcuola». Giorni ricchi, tra laboratori, formazione e servizi in cucina, nella distribuzione del cibo e nell’igienizzazione dei locali. Giorni ricchi però anche per cambiare qualche idea: «Ho imparato ad avere meno pregiudizi verso le persone. Anche con un aspetto diverso rispetto al nostro, lì dietro c’è sempre un essere umano esattamente come noi. Torno a casa arricchito: affrontare nuove realtà di servizio tocca sempre nel profondo».

Simone Ambrosio, anche lui di Mejaniga, non ha dubbi: «Questi giorni hanno confermato in me il fatto che il messaggio del Vangelo, anche oggi, è molto attuale e rivoluzionario. Alle Cucine popolari lo si vive appieno seguendo chi ha fame, chi ha bisogno di essere vestito, o anche chi semplicemente ha bisogno di passare una buona giornata».

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