Guerra, malattia, morte: al male si risponde solo costruendo il bene

Perché la guerra, la malattia, la morte? Perché le ingiustizie; perché, in una parola, il male?

Guerra, malattia, morte: al male si risponde solo costruendo il bene

Una domanda che insegue da sempre l’essere umano, ma che con l’avanzare della civiltà e della tecnologia sembra farsi addirittura più pressante. Di qui la scelta di dedicargli uno spazio anche in questa edizione del Festival biblico, giovedì 18 maggio alle ore 15 presso la Facoltà Teologica del Triveneto a Padova, nella tavola rotonda “I molteplici volti del male, tra Bibbia e interrogazioni dell’uomo. Religioni a confronto”, che vedrà la partecipazione del pastore evangelico Pietro Bolognesi, del rabbino Luciano Meir Caro, dell’imam Yahya Zanolo e del teologo don Andrea Toniolo. Proprio sull’argomento don Toniolo ha pubblicato un recente volume con le Edizioni Messaggero Padova (Male, pp 118, 12 euro). «Ho scritto tra la pandemia e lo scoppio della guerra in Ucraina, eventi che in qualche modo accentuano l’esigenza di meditare questo tema – spiega don Andrea Toniolo, preside della Facoltà teologica del Triveneto, dove insegna teologia fondamentale e pastorale – I primi undici capitoli della Genesi, affrontati dal Festival di quest’anno, contengono alcuni testi fondativi della riflessione sul male, sui quali ho lavorato anche nel libro: il male morale del racconto del peccato originale; il male come sofferenza fisica o psichica, con la cacciata dal paradiso terrestre. Ma anche il racconto di morte e distruzioni derivanti da un disastro naturale come il diluvio, conseguenza della rottura di un equilibrio tra uomo e Dio, ma allo stesso tempo segno che la natura è madre ma anche matrigna, e mette nell’uomo il desiderio di felicità negandolo allo stesso tempo». Anche nelle altre religioni sono presenti narrazioni analoghe, chiamate in qualche modo a giustificare la presenza del male in una creazione complessivamente buona e positiva. Nel racconto coranico, spiega l’imam Yahya Zanolo, «la prima manifestazione del male si ha quando il diavolo rifiuta di prosternarsi di fronte ad Adamo e chiede a Dio una “dilazione di tempo”, per dimostrare nel corso della storia che l’uomo è un essere dimentico di Dio (in arabo la parola insan, uomo, contiene le stesse lettere di nisyan, dimenticanza, ndr). Una sfida che però non potrà mai essere vinta: ecco perché il diavolo è il più grande degli illusi». Per l’imam, che rappresenta nel Triveneto il Coreis (Comunità religiosa islamica, una delle principali associazioni di rappresentanza del culto islamico in Italia), «una delle prove più grandi per ogni credente è liberarsi dall’illusione che il male abbia una realtà propria, e soprattutto che possiamo sconfiggerlo con le nostre forze. Nell’Islam la conoscenza di come agisce il male ha come unico fine quello di saperlo riconoscere, stando attenti alla sottile attrazione che esercita, per poi affidarsi solamente al Signore. Il quale, tramite la religione, ha dato all’uomo le uniche armi: il ricordo di Dio, la fede, la preghiera, la conoscenza, le virtù e le buone azioni che purificano. È dovere dell’uomo solamente “lapidare” il male, che può essere sconfitto solo da Dio tramite le sue schiere angeliche, del cui soccorso il musulmano deve essere sempre certo». Al concetto di male come peccato, scelta deliberata che deriva innanzitutto dalla superbia – ovvero dal considerarsi simili a Dio, e quindi superiori rispetto alle altre persone – si accompagna, come detto, quello di male come dolore o malattia, condizioni proprie della nostra fragilità di esseri limitati e mortali: se però nella visione cristiana conseguenza del peccato è sempre la sofferenza, non è altrettanto vero il contrario. «La sofferenza in sé è propria della condizione umana e non va assolutamente colpevolizzata – riprende don Toniolo – Lo vediamo ad esempio nella figura di Giobbe, con la quale nella Bibbia viene definitivamente spezzata l’idea che la malattia e le prove della vita siano conseguenze di una cattiva azione». Nel Corano invece «viene ripetuto che ogni male dipende solamente dall’uomo, quando trascura la sua dipendenza dall’Assoluto e lascia che a una tentazione segua anche un atto sbagliato – continua Zanolo – Allora il credente viene messo alla prova con un altro male per essere purificato e spinto a chiedere aiuto al suo Signore, che userà un male sempre e solo per un bene superiore». Ricordando che nella visione islamica l’Onnipotente è innanzitutto misericordioso: «Durante il viaggio notturno e l’ascesi attraverso i cieli che il profeta Muhammad compì in vita, un angelo gli mostrò “dall’alto” l’inferno, senza tuttavia farlo entrare in esso. Questo ci dice che non è dunque necessario sperimentare il male per poterlo superare, così come è errato identificarsi con un errore: se abbiamo sbagliato si chiede perdono e si va avanti! Se ci si concentra sul bene, allora Dio ci salverà dal male “per sovrappiù”. Un grande sapiente egiziano del 19° secolo dice che a volte è addirittura peggio indulgere sull’analisi del peccato che il peccato stesso». Restano comunque la frustrazione e la domanda di senso di fronte al dolore, soprattutto quando colpisce gli innocenti. Come comportarsi in questi casi da credenti? Per don Toniolo «dobbiamo avere umiltà di non presentarci come coloro che hanno una risposta preconfezionata su tutto, ricordando che Gesù risponde alla sofferenza in maniera non teorica ma pratica: predicando e guarendo, prendendosi cura delle persone ma anche soffrendo a sua volta con e per l’umanità». Attenzione però: «Per situazioni che nascono anche da responsabilità umane incolpare Dio o la natura rappresenta una fuga dalle nostre responsabilità. La povertà, le guerre e le epidemie, perfino le conseguenze dei disastri naturali, possono essere provocati o aggravati dallo sfruttamento e dall’avidità dell’uomo, ad esempio. Come credenti siamo chiamati a prenderci cura di queste sofferenze, ma anche a comprenderne le cause e ad agire per ridurle o eliminarle». A trasformare insomma anche il male in occasione per il bene.

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