Il Caffé Bruno, della missione in Thailandia. Il lavoro “sa” di Vangelo
Thailandia Il Caffé Bruno, progetto nato in seno alla missione delle Chiese del Triveneto, paga i coltivatori il giusto, dà lavoro a molte persone, rispetta il Creato
Una premessa. Per il sottoscritto il caffè non è solo una bevanda, né soltanto un prodotto da coltivare, commercializzare e che dà lavoro a tante persone – spesso però in contesti di sfruttamento e disparità. Il caffè per l’autore di questo pezzo è linfa vitale, energia, ritualità, aroma che ti avvolge e ti richiama con le sue note alla terra nel quale è cresciuto. Terre lontane, come Brasile, Etiopia, Indonesia delle quali – almeno per un breve istante, fino a quando il retrogusto ti resta sul palato – diventi cittadino. Non posso negare dunque che ogni volta che riesco a sorseggiare un po’ di Caffè Bruno – il caffè coltivato e prodotto in seno alla missione delle Chiese del Triveneto in Thailandia a partire dal 2012 – è sempre un’emozione. Perché il Caffè Bruno non è solo oggettivamente un buonissimo caffè – di quelli che pagheresti volentieri 3 o 4 euro a tazzina in un rinomato locale di specialty coffee, ma perché oltre ad acidità e tostatura a regola d’arte c’è tutto il gusto del rispetto della terra, del riscatto sociale, della dignità del lavoro e di un’evangelizzazione che passa anche attraverso l’applicazione concreta della Dottrina sociale della Chiesa. Se il Caffè Bruno nasce nel 2012 – acquistando la produzione del caffè dei coltivatori delle montagne per salvaguardarne il lavoro e per metterli al riparo dalle malattie legate all’abuso dei pesticidi legati ad altre culture – negli ultimi anni è nata l’impresa sociale secondo la legge thailandese con il nome “Laudato si’”. Don Bruno Rossi è l’anima del Caffè Bruno. Prete della Diocesi di Padova dal 1995, è in Thailandia da 25 anni, fin dall’inizio della missione Triveneta nata alla vigilia del Grande Giubileo. L’anno scorso confidava alla Difesa: «Non sono venuto qui per fare l’impresario, ma, come dice il papa, sono venuto qui per ascoltare il grido dei poveri e il grido della natura».
«Sono entrato in seminario a 16 anni, dopo aver lavorato in falegnameria con mio papà – ci racconta oggi in collegamento da Chae Hom – e ho continuato a lavorare anche durante le estati successive. Il mondo del lavoro mi ha aiutato tantissimo, perché mi ha dato la capacità di stare tra la gente in modo diverso e di impegnarmi anche in questo ambito». Un’empatia, nei primi anni di missione tra i montanari thailandesi, che si confrontava non solo con gli studenti del Centro Regina della pace, ma anche con gli allevatori e i coltivatori piagati sia dai pesticidi, sia da trattamenti economici ingiusti di chi acquistava il frutto del loro lavoro a prezzi stracciati. «All’inizio la produzione era di trenta chili alla volta. Con i guadagni abbiamo sostenuto borse di studio per i ragazzi, anche per compensare il calo delle adozioni a distanza dopo la crisi economica in Italia». L’attività è poi cresciuta, dando lavoro specialmente ai giovani che passavano dallo studentato missionario: «A molti abbiamo fatto vedere un futuro possibile anche qui, evitando la fuga verso le città». Ora che il Caffè Bruno viaggia sull’ordine delle tonnellate, non è cambiato l’approccio di sempre: «Noi paghiamo il caffè ai coltivatori al prezzo più alto che c’è, proprio per dare a tutti il giusto. È ovvio che se pagassimo di meno i coltivatori avremmo più introiti, ma non è quello il punto: lo scopo è aiutare le famiglie di chi vive qui sui monti». Un lavoro che rispetta le persone ma anche il Creato, dato che il caffè per crescere non ha bisogno di quella mole di pesticidi – banditi in Occidente – usati però abbondantemente in Thailandia per altre colture anche a costo di inquinare l’acqua e la terra. E anche questa è evangelizzazione: «Qui il Vangelo lo annunci con la vita: mostrare il rispetto per la natura fa sentire la presenza di Dio. Non avrei mai potuto comunicare il Vangelo senza esempi concreti: abbiamo introdotto una trentina di pecore, animali presenti nel Vangelo, che qui non si erano mai viste». Questa avventura – tra impresa, lavoro, ambiente ed evangelizzazione – è sempre più nelle mani della gente del posto, gente che don Bruno ha visto crescere: «Ci piacerebbe crescere ancora di più, espandendo anche la nostra produzione di tè e cacao, anche esportandone una parte e in questo modo far lavorare ancora più persone».
Uniti nel dono
In Italia ci sono oltre 32 mila sacerdoti. In particolare, 29.400 sono in attività nel nostro Paese, che conta 227 Diocesi e 25.600 parrocchie; 300 operano in terra di missione; 2.600 sono anziani o malati. «Promuovere e raccogliere le offerte a sostegno di tutti i sacerdoti delle Diocesi italiane è importante, perché – si legge nel sito unitineldono.it – dal 1990 il loro sostentamento non è più a carico dello Stato, ma è affidato alle persone che stanno loro accanto. Quindi a tutti noi». Sul sito si trovano le modalità per dare il proprio sostegno economico alla loro opera.
Andrea Canton