Il Triduo pasquale del vescovo Claudio. «Il Risorto, che apre alla speranza, ci insegna ad amare fino alla fine»

Triduo pasquale Il vescovo Claudio ha presieduto i riti della Settimana santa in alcune comunità della Diocesi momentaneamente senza pastori per motivi di salute. Il Sabato santo, poi, ha celebrato la Veglia pasquale in Cattedrale e battezzato tre adulti

Il Triduo pasquale del vescovo Claudio. «Il Risorto, che apre alla speranza, ci insegna ad amare fino alla fine»

«I giorni del Triduo sono preziosi, perché ci raccontano l’amore di Gesù. Ci parlano della sofferenza, della passione e della sua morte, ma non sono un racconto di dolore. Ci dicono quanto Gesù ci ha voluto e ci vuole bene, quanto il Padre è disponibile a fare per noi. In questi giorni ci viene raccontato, quindi, un amore senza fine». Ha sintetizzato così, il vescovo Claudio, la celebrazione del Triduo pasquale. L’ha fatto a Sant’Andrea di Campodarsego, dove ha celebrato la messa in cena Domini – il Giovedì santo – con il rito della lavanda dei piedi.

Amare fino alla fine
Rivolgendosi in particolare gli adulti presenti, si è chiesto: «Come insegnare ad amare fino alla fine? Non con le parole... Lo si insegna solo con la vita. L’unica strada che abbiamo per insegnarlo ai piccoli è viverlo noi, pur con fatica. Proprio questa li convincerà che siamo credibili, che è vero ciò che diciamo. Amare fino alla fine, fino al compimento. Quando Gesù è sulla croce, dice: “Tutto è compiuto”. Ha dato tutto, l’amore è compiuto fino alla fine. In molte nostre case questo già avviene, anche se non ne siamo consapevoli. Quante storie di dedizione, di amore si potrebbero raccontare... È Gesù a consegnarci un comandamento nuovo: come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri. Se in casa si “frequenta” questo pensiero, allora la casa sarà luogo educativo. Allora insegneremo ai nostri figli a essere cristiani. Sbaglieremo, certo, ma siccome ci crediamo... riproveremo».

Aperti alla speranza
Dopo il Giovedì santo a Sant’Andrea di Camposarsego, don Claudio ha celebrato la Passione del Signore a Carbonara di Rovolon: in entrambi i casi ha sostituito i parroci, impossibilitati a presiedere i riti della Settimana santa per problemi di salute (così come ha fatto a San Benedetto il giorno di Pasqua). Alle due comunità riunite nelle rispettive parrocchiali ha evidenziato come i giorni del Triduo «facciano riemergere una speranza: anche noi, nonostante i nostri limiti e i nostri peccati possiamo nutrirci delle grandi chiamate del Signore. Gesù – che non ha sofferto solo come uomo, ma anche come Dio – come Dio è morto per amore per vincere la morte. È così che la sofferenza, il fallimento il male non rimangono tali, ma ci si può aprire alla speranza».

Siamo tutti la Chiesa madre
«Questa che viviamo è la notte in cui il Signore ci genera. In cui la Chiesa partorisce i suoi figli. È un’esperienza unica». Ai tre adulti che hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e ai fedeli convenuti in Cattedrale, don Claudio ha proposto una riflessione che – a partire dalle letture – ha richiamato la vocazione di ciascuno a «essere, insieme, il grembo della Chiesa. Quel grembo che fa passare alla vita coloro che il Signore accompagna, coloro che ha generato. Ci accompagna alla vita divina. Siamo creature nuove. In questa notte tutti siamo nati nel mondo nuovo, nel cielo nuovo». E ancora: «In questa notte viviamo quel passaggio raccontato nel libro dell’Esodo: siamo restituiti alla libertà, ma non una libertà qualsiasi. Il Signore porta a perfezionamento, con Gesù come protagonista nella sua Pasqua, la sua creazione. Gesù con la sua vita, passione e morte ci ha aperto il passaggio e ci ha modellato a immagine sua, del Figlio di Dio risorto. Questa notte per noi inizia la vita nuova. Per grazia di Gesù che trascina con sé tutti i suoi fratelli e le sue sorelle». Don Claudio ha invitato i fedeli a pensarsi come «Chiesa madre in questo tempo e in questo spazio. Dicendo che la Chiesa è madre, ci impegniamo a insegnare qual è la strada. E sappiamo che l’insegnamento avviene, come per ogni madre, attraverso l’amore. Amando i propri figli... La Chiesa madre, insegna
amando. Sa di dover accompagnare un figlio. Sa di dover educare... È una passione che si ripete giorno dopo giorno. Questa è la madre, questa è la Chiesa. Ed è tale perché manda, fa maturare, lascia liberi... Introduce poco i propri figli alla libertà. Anche le nostre comunità devono fare così: accompagnare come fa una madre alla maturazione. È poi mandare i propri figli nel mondo».

24 aprile, domenica della Divina misericordia
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Istituita da Giovanni Paolo II nel 1992, la festa della Divina misericordia si celebra nella domenica in albis. La scelta di collocarla nella prima domenica dopo Pasqua indica lo stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione l’opera della misericordia. Nell’istituirla papa Wojtyla si ispirò a suor Faustina Kowalska, da lui beatificata il 30 aprile 2000.

Ai preti: «Osiamo il cammino del dono di noi stessi»

«Stasera, insieme con l’olio, porterete alle vostre comunità il vostro rinnovato impegno e la vostra rinnovata disponibilità a servire le comunità cristiane – ha detto al vescovo ai preti riuniti in Cattedrale per la messa crismale del Giovedì santo – E annuncerete che Gesù avendo amato i suoi che sono nel mondo li amò fino alla fine. Fino alla fine: guardandoci in faccia, vediamo le nostre stanchezze e le nostre delusioni, forse vediamo qualche tratto in noi stessi e nei confratelli del volto di Gesù che obbedisce al Padre che lo chiama ad amare ancora e… ancora. Vorrei dirvi che è per noi fondamentale fissare il nostro sguardo su Gesù e osare il cammino del dono di noi stessi, che prosegue, come il suo, fino alla fine, con tutto noi stessi. Che sia questa la nostra vocazione? Che sia questa la profondità del nostro ministero di educatori dell’amore delle nostre comunità e dei fratelli e sorelle al cui servizio il Signore ci ha collocati? Che in questo momento la nostra vocazione ci collochi proprio in quel “fino alla fine”?».

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