Il vescovo Claudio e la pandemia. Il Covid e la logica della Grazia

Il vescovo Claudio e la pandemia. L’episodio più toccante: aver permesso a un sacerdote uscito dal ministero di dare l’unzione dei malati alla madre morente

Il vescovo Claudio e la pandemia. Il Covid e la logica della Grazia

«C’è stato un episodio, in quest’anno di pandemia, che mi ha colpito moltissimo». Mons. Claudio Cipolla, seduto alla scrivania del suo ufficio, fa mente locale, recupera ricordi e sensazioni di questi dodici mesi di pandemia, e un passaggio in particolare riaffiora. Non si tratta di messe celebrate on line di fronte a chiese deserte o della Pasqua che i cristiani non hanno potuto vivere assieme, in comunità, come mai era accaduto prima. La mente del vescovo torna piuttosto a un volto, una richiesta, una mano tesa che nel momento più buio si è fatta strumento della Grazia.
«Durante il primo lockdown mi ha chiamato un ex prete – racconta il vescovo – La sua mamma, morente a causa del Covid-19, era ricoverata in una struttura per anziani. Nessuno tranne i familiari era ammesso al suo capezzale, nemmeno il parroco o un altro sacerdote. La voce al telefono condivideva con me l’amarezza per la morte imminente senza la possibilità di ricevere l’unzione dei malati. Non era stato possibile far intervenire un sacerdote esterno, necessario perché l’unzione dei malati è collegata al sacramento del Perdono, neppure rivolgendoci alle autorità sanitarie e ai responsabili di questa struttura. Percepivo in quel momento una sofferenza profondissima in questo figlio e in quel momento, ricordando come chi viene ordinato, anche se esonerato dal ministero, rimane sacerdote per sempre, gli ho concesso la dispensa per poter dare lui stesso l’estrema unzione alla mamma, a poche ore dalla morte».

Il fine: la salvezza
Si tratta di uno dei tanti fatti che, pur nella lunga tragedia nella quale siamo immersi, alimenta la speranza, dà forza all’umanità e alla stessa Chiesa. «Ho riflettuto molto su questo fatto e mi sono reso conto di quanto la Grazia di Dio sia potente e di come sia importante porre dei segni della sua presenza. È la logica di Gesù stesso nel Vangelo, di fronte a chi gli ricordava il peccato commesso per aver guarito un infermo nel giorno di sabato».
Una logica pienamente accolta oggi anche dal Codice di diritto canonico, in particolare al canone 1047, dove conferisce al vescovo la possibilità di dispensare i preti che hanno lasciato il ministero per tutti i casi non di competenza della Santa Sede e di concedere loro la possibilità di conferire questo sacramento quando ci si trova nell’imminenza o in pericolo di morte. Il fine principale rimane sempre la salvezza delle anime, la Grazia arriva con ogni mezzo o uomo a disposizione.

Mons. Cipolla torna poi su quella che per lui è la parola chiave di questo tempo: fragilità. Su questa idea si fonda l'orizzonte pastorale della Diocesi di Padova per il 2020-2021 e le ragioni sono profonde. «La fragilità – sottolinea don Claudio – è un’esperienza costitutiva del nostro essere donne e uomini che la quotidianità ci porta ad accantonare, illudendoci di essere onnipotenti. Di fronte alla pandemia ci siamo tutti sentiti fragili e da qui si sono rinvigorite quelle relazioni che io chiamo comunità. Solo nella fragilità percepiamo il dono della carità, l’attesa di un aiuto o anche solo di una telefonata, l’importanza della relazione con i vicini o con quei parenti che magari nel tempo avevamo allontanato. Non solo: quando ci sentiamo fragili capiamo l’importanza di uno Stato e di un sistema sanitario che funzioni bene. Ecco perché questa può essere la prospettiva per rivisitare tutto il nostro modello sociale e fare ognuno di noi, come cittadini e come cristiani, la nostra parte. È la stessa fragilità che ci fa sentire creature finite e ci apre alla relazione con il Creatore e il Salvatore».

Con la mente ai più fragili

La preoccupazione principale lungo questo anno è stata per i più deboli. «Ho pensato spesso alle persone con disabilità, che spesso portano patologie fin dalla nascita, e si sono trovate prive delle strutture che danno loro sollievo e relazioni. Ho pensato molto anche agli anziani e ho visto con gioia l’impegno generale, anche delle realtà pubbliche, nei loro confronti: l’organizzazione poteva essere migliore certo, ma si è vista la volontà di proteggerli e di accompagnarli al meglio delle nostre possibilità». All’incontro con i parenti degli anziani morti nella casa di riposo Scarmignan di Merlara, mons. Cipolla lo ha ripetuto: «Anche quando tutto sembra finito per noi, Dio può portare la Grazia. La morte è sconfitta, la Pasqua regge la speranza di noi fragili creature».

Le consapevolezze acquisite in questo anno non sono però tutte positive. La mente del vescovo torna esattamente a un anno fa, quando i primi casi italiani di Covid-19 affioravano tra Vo’ e l’ospedale di Schiavonia. «Di fronte a fatti così preoccupanti e drammatici, un intero paese, compresa la sua parrocchia, è finita dentro un vortice mediatico fatto di servizi, interviste, chiamate che rischiano di distogliere e distrarre chi si trova al centro di queste vicende. Il dolore e la sofferenza rischiano di essere banalizzati nel tritacarne mediatico e così viene enfatizzato per chi lo vive in prima persona: la persona stessa diventa un numero. Mi chiedo se questa sovraesposizione alla fine faccia più bene o più male. Mi chiedo anche se questa informazione sia davvero utile o disorientante».

Il rischio: strumentalizzare il dolore

Recuperare il silenzio. Di fronte ai fatti drammatici in rapida successione a cui abbiamo assistito in questi mesi, il vescovo Claudio si appella a questa dimensione dell’interiorità. Solo nel silenzio è possibile attivare risorse come la speranza e la disponibilità all’impegno per il bene comune. Il rischio, altrimenti, è quello di perdere l’umiltà di fronte agli avvenimenti e di arrivare addirittura a strumentalizzare il dolore, anche solo per un minuto di visibilità.

Pandemia: il Sinodo diventa ancora più urgente

«Anche in questa condizione drammatica, il Signore sa arricchirci e farci maturare, così la pandemia ci ha detto quanto un Sinodo per la Chiesa di Padova sia ancora più urgente di quanto immaginavamo».

Il vescovo Claudio guarda ai prossimi mesi quanto il Sinodo diocesano verrà indetto, proprio mentre i vaccini staranno ponendo un argine al contagio. «Quali comunità per i più deboli? Quali prospettive per il Vangelo nella fragilità? Quale annuncio del Vangelo proporre oggi? Sono domande che spesso ci siamo posti in questi mesi, ma in realtà erano sorte anche prima della pandemia quando già pensavamo a un Sinodo. La Chiesa deve imboccare una strada nuova senza lasciarsi prendere dalla stanchezza o rimpiangere il passato. Oggi, per obbedire al Vangelo, c’è bisogno di molta creatività». Nel frattempo il lavoro della segreteria prosegue.

È necessario custodire le consapevolezze di questo anno

La centralità delle relazioni, la condizione di fragilità, il grande impegno dei sanitari, l’azione delle Caritas che non si è mai fermata. Queste sono solo alcune delle consapevolezze che un anno di Covid ci ha trasmesso, «e sono consapevolezze da difendere e da custodire», puntualizza mons. Cipolla. «La storia insegna che l’uomo è stato capace di “porre rimedio” a tutto, anche ai fatti più sconvolgenti come le guerre e le pestilenze, senza per forza maturare e migliorare, ma tornando piuttosto alla situazione precedente». Un “prima” che nel nostro caso non era affatto il meglio. «È necessaria la conversione dei cuori, altrimenti rischiamo di costruire un futuro completamente basato su scienza e tecnologia, mentre invece abbiamo bisogno di valorizzare sempre più la nostra dimensione spirituale».

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