Incontro con Lui, vivo. La lettera apostolica di papa Francesco Desiderio Desideravi sulla formazione liturgica del popolo di Dio

È la liturgia: lo ribadisce papa Francesco nella lettera apostolica Desiderio desideravi sulla “formazione liturgica del popolo di Dio”

Incontro con Lui, vivo. La lettera apostolica di papa Francesco Desiderio Desideravi sulla formazione liturgica del popolo di Dio

«Petri beati, Pauli sacratissimi,
quos Christus almo consecravit sanguine,
ecclesiarum deputavit principes».

Così canta la Chiesa al mattino del 29 giugno, celebrando i santi Pietro e Paolo, coloro che Cristo ha consacrato con sangue che dà vita e ha ritenuto degni di essere annoverati come principi degli apostoli. In questo giorno, tripudio della fecondità della Chiesa, il Santo Padre, successore di Pietro, ci offre una inaspettata lettera apostolica “sulla formazione liturgica del popolo di Dio”. Il titolo – Desiderio desideravi – è un capolavoro di condensazione poetica e la data non è casuale. È quella delle fiamme divoranti del martirio, di chi guarda alla liturgia come al fuoco che abita nel cuore di Gesù, di chi vede nel suo sacrificio, in quello di Pietro e Paolo, in quello – incruento – dell’eucaristia e di ogni azione liturgica della Chiesa (cfr. SC 7), l’agire sacerdotale di Cristo, l’offerta sacerdotale del Figlio di Dio, l’amore che ha desiderato con desiderio effondere nel mondo. Gesù non è uno gnostico: ama dell’Amore che è. Non fa calcoli: si offre. Desidera il nostro amore, come ha desiderato l’amore della donna di Samaria, quando ha voluto di incontenibile desiderio che lei si accorgesse di aver sete di lui. Per questo la liturgia è gratuità e bellezza – perché non pesa e non calcola, ma offre e dona amore. Per questo la lettera apostolica è una sinfonia della bellezza, sontuosa e sobria come un crocifisso medioevale, fieramente impegnata a ribadire che i credenti sono gli unici a potersi dire “uomini in senso pieno” («solo la comunità di uomini e donne riconciliati perché perdonati, vivi perché lui è vivo, veri perché abitati dallo Spirito di verità, può aprire lo spazio angusto dell’individualismo»), a suscitare di nuovo nella percezione intellettuale la capacità di leggere i simboli, cioè di accogliere realtà compiute, vincendo l’angoscia della precarietà.
Desideriamo il desiderio del Santo Padre Francesco perché addita il desiderio di Dio. «Non si entra nel Cenacolo se non per la forza di attrazione del suo desiderio di mangiare la Pasqua con noi: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare
vobiscum, antequam patiar (Lc 22,15)», si legge al paragrafo 20 della lettera. Il desiderio dell’uomo di oggi sembra portarlo invece lontanissimo da Dio. Pretende una libertà assoluta, persegue un piacere facile e immediato, una soddisfazione che riempia ogni frammento del suo tempo, ogni spazio della sua vita. Cerca di essere riconosciuto, ammirato, approvato. Vuole il potere come divertimento. Ecco cosa desidera il desiderio dell’uomo, finché è solo un abitante del secolo e del mondo. Ma se entra in una chiesa dove si celebra la santa liturgia, rischia di desiderare tutt’altro. Desidera cadere in ginocchio (anche se il Santo Padre precisa: «la liturgia non ha nulla a che vedere con un moralismo ascetico» ed è piuttosto «incontro con Lui vivo», fino alla vertigine di «diventare Lui»). Desidera piegare la testa, poter supplicare, lodare, servire, cantare, chiedere la saggezza, cogliere il frutto dell’amore, essere avvolto nella bellezza, avere una promessa di salute che non venga meno, gustare, come scrive Guardini, lo «stile grande della preghiera», passeggiare nel giardino dove le sfumature dei petali dei fiori non si contano. È immediato. È semplice. Desidera Dio, senza averlo deciso. È già compreso nella sua grazia, ospite della sua città che luccica di zaffìri e ha muri splendidi che non crollano, fratello tra fratelli, per sempre figlio, “infinitamente amato”. Perché tutto quello che il rito cristiano dice, fa e non fa e dice tacendo è quanto Dio desideri divinamente prendersi cura della sua creatura, amata al punto da inventarsela. Una dichiarazione d’amore che non può durare meno di millenni, mantenendosi quasi intatta nelle forme, perché il suo senso non cambia, la sua potente verità ha bisogno solo di espandersi, non si smentisce. Cambiano il tempo, il mondo, l’uomo, dentro la miracolosa perennità del rito cristiano. E tutto quel cercarsi e frugarsi nell’intimo dell’individuo di oggi diventa semplice. Pace. E tutto quel groviglio di domande che si fa l’individuo di oggi diventa il «suono sottile di silenzio» che ha restituito la speranza al profeta di fuoco Elia. E il fuoco stesso diventa rugiada. E ogni cosa è benedizione.

don Gianandrea Di Donna
Direttore Ufficio Diocesano per la Liturgia

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