Le esperienze dei collegi. Presidio di vita comunitaria anche in tempo di virus

Confronto tra i direttori per “fare luce” su cosa vuol dire oggi offrire agli studenti una precisa opportunità di crescita

Le esperienze dei collegi. Presidio di vita comunitaria anche in tempo di virus

«Rientrare in collegio dopo due mesi è stata una liberazione – racconta suor Zita Morandi, canossiana, direttrice del Collegio Immacolata – Perdere anche momentaneamente quello che si dà per scontato aiuta a scoprirne il valore. In una mattina in collegio li vedi rifiorire». Per Juan Carlos Pizarro, direttore dei collegi San Francesco e Granzotto, «in questo periodo in cui l’università mette paletti molto rigidi dal punto di vista sanitario, il collegio può offrire una dimensione comunitaria e di socialità, rassicurando però ragazzi e famiglie sul fatto che le regole sanitarie vengano rispettate da tutti, grazie a un monitoraggio costante».

Don Giulio Osto, assistente del Gregorianum, realtà della Diocesi di Padova: «Innanzitutto bisognerebbe parlare di distanziamento fisico, non sociale. Anche a distanza di un metro può esserci relazione, la distanza è anzi un modo per salvarla. Siamo vittime di un linguaggio che ha messo in luce il peggio di noi e non il meglio. Perché diciamo didattica a distanza e non ad esempio didattica on line? Abbiamo visto studenti rinascere quando sono tornati da noi dopo la crisi del Covid: il collegio è davvero meglio di qualsiasi piattaforma web».

Anche durante l’emergenza gli istituti hanno cercato di valorizzare la loro natura educativa e sociale, per aiutare i ragazzi nella loro carriera universitaria ma anche per dare strumenti in più per affrontare la vita dopo la laurea. Per Alberto Scarpis, direttore del Gregorianum, «crescere in un collegio ti cambia, e sono i ragazzi stessi a riconoscerlo: soprattutto quelli che all’inizio arrivano da situazioni più difficili». Secondo suor Anna Mazza, direttrice del Marianum (curato dalle Religiose dell’Assunzione), vivere in comunità è importante anche per costruire il proprio percorso professionale, nel quale sono sempre più decisive quelle che oggi vengono classificate come soft skills: «L’università ti insegna a fare il dentista, ad esempio, ma spesso non ti insegna come farlo: quello si scopre dopo e viene fuori dal confronto con gli altri, non solo con una piccola cerchia come può essere quella della famiglia o degli amici». È d’accordo Scarpis: «Spesso con i primi colloqui di lavoro i ragazzi sono stupiti del fatto che, oltre al titolo di studio, ad essere valutati sono proprio gli interessi e le altre attività considerate secondarie, quello che insomma si fa del proprio tempo libero».

Per don Francesco Massagrande, direttore del Don Mazza, uno slogan potrebbe essere “studiare insieme è meglio”: «In uno dei nostri uffici c’è un manifesto con scritto “Tu sei la sintesi dei cinque amici ai quali sei particolarmente vicino”. Qui c’è tutto l’aspetto formativo dello stare insieme, perché oltre al direttore e agli educatori a formarti sono soprattutto i pari: magari proprio il tuo compagno di stanza, come ci ha detto una volta un nostro ex allievo». Nell’esperienza di suor Rosanna Fantini, direttrice del collegio Sorelle della Misericordia, un aspetto da approfondire sono i comportamenti quotidiani, in cui spesso i ragazzi di oggi sono in difficoltà: «I nostri corsi più richiesti sono quelli di bon ton, in cui spieghiamo le norme più elementari di comportamento durante una riunione, un pranzo insieme o un invito a casa. Si tratta di nozioni che le famiglie hanno sempre più difficoltà a trasmettere, ma di cui i ragazzi sentono la necessità».

Infine per don Giovanni Brusegan, rettore della cappella universitaria di San Massimo, «le parole chiave sono ricerca, fraternità e servizio. Ricerca che non può che essere anche umana e spirituale, e in questo c’è la quidditas, la particolarità di un collegio cattolico. Fraternità è sì accogliere, ma anche conoscere e riconoscersi negli altri. Infine il servizio: inteso come gratuità, espressione del dono che ti è dato e che in qualche modo diventa responsabilità. Responsabilità che proprio nei collegi viene sviluppata nelle attività comuni: dalla scelta dei film del cineforum alla pulizia degli spazi. Lo spirito di servizio oggi manca in Italia, per questo forse oggi siamo in questa situazione».

I numeri dei collegi a Padova

I collegi cattolici presenti a Padova sono 25: 11 femminili, 10 maschili e 4 misti, per una capienza di 1.550 posti. Molte le eccellenze ma ci sono anche criticità: hanno appena chiuso i battenti due collegi femminili, il Canossa (via Rudena 2) e il Sacro Cuore (via Belzoni 82).
Per informazioni: www.collegiuniversitaricattolicipd.it

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