Messaggio del vescovo Cipolla alla città di Padova in occasione della festa di sant'Antonio

In questo tempo particolare in cui a dettare l’agenda è la pandemia anche la festa di sant’Antonio ha un sapore inedito, eppure il messaggio del patrono della città di Padova, che ha attraversato i secoli, sembra essere ancora più attuale e incisivo.

Messaggio del vescovo Cipolla alla città di Padova in occasione della festa di sant'Antonio

La voce di Antonio ha annunciato la carità, spesso richiamando con forza le coscienze di coloro che governavano e avevano il potere di decidere affinché “vedessero” le sofferenze e le ingiustizie dei più deboli e dei più fragili. Egli è stato per il suo tempo interprete e testimone dello Spirito che, allora come oggi, rende sempre attuale il Vangelo.

In ogni tempo, infatti, lo Spirito raggiunge le coscienze per illuminare le menti, per educare il cuore e aprire così sguardi e orizzonti nuovi. Questo tempo di pandemia, dal quale faticosamente stiamo uscendo, è stato certamente una tragedia come lo sono gli strascichi che ha lasciato e le conseguenze che vedremo ancora più evidenti nel futuro. Eppure questo è anche il tempo in cui lasciare spazio allo Spirito per cogliere cosa suggerisce e suscita alle nostre coscienze, personali e collettive.

La parola che più abbiamo sentito ripetere in questo tempo è stata “fragilità”. Abbiamo capito e constatato con mano che siamo fragili: come singoli e come società, come economia e come sistema pubblico, come creato e come Chiesa. Abbiamo pagato e stiamo pagando un prezzo alto a questa fragilità, e per alcuni è stato un prezzo molto doloroso. Qualcosa di inaspettato e impensabile ha messo in difficoltà il nostro sistema sanitario e tutta la nostra organizzazione politica ed economica.

Cosa suggerisce il Vangelo per interpretare questa esperienza di fragilità? Cosa ci ricorda lo Spirito di Dio, dentro a questa situazione così inedita per la nostra generazione, e per una coscienza collettiva che si era abituata a fare sempre meno i conti con la fragilità, a motivo della grande “potenza” sviluppata dall’uomo e dalle sue conoscenze? Cosa ci ricorda in un contesto dove l’efficienza e il risultato sono paradigmi fondamentali?

Il Vangelo ci ricorda che siamo creature. Ci ricorda che non siamo Dio: saremo simili a Lui, lo vedremo così come Egli è, ma noi non siamo Dio. Vivremo la vita eterna in Dio, ma non prima di attraversare il mistero impenetrabile della morte. Non siamo onnipotenti.

Ma, nello stesso tempo, come dice san Paolo, lo Spirito, che anima il Vangelo, grida dentro ciascuno di noi “Abbà, Padre”: ci ricorda dunque che siamo creature, ma anche figli del Creatore, figli di Dio che è Padre, e che si prende cura di tutte le creature, nel momento della prosperità e nel momento della fragilità. E non le lascia in balia della morte, perché le chiama alla vita per sempre.

Questa voce del Vangelo, risuonante nella coscienza, muta il nostro sguardo e il nostro rapporto con la fragilità. È quanto ci ha testimoniato sant’Antonio, che seguendo i passi del poverello d’Assisi, ha saputo guardare con occhi nuovi le povertà e le fragilità di tante donne e uomini del suo tempo. Questa voce del Vangelo depotenzia l’angoscia disperante che la fragilità può ingenerare dentro di noi. Impedisce il tentativo vano di nasconderla, negarla, camuffarla, magari distanziando da noi chi la mostra con evidenza nella sua carne, nella sua condizione esistenziale. Non inibisce gli sforzi per lenire il dolore che essa provoca, ma li rende sforzi umani, compatibili, sostenibili, realistici. E li rende corali, comunitari, non solitari e individualistici. Non fa rassegnare l’uomo di fronte al male fisico e spirituale, ma infonde autentica forza per lottare, connettendo chi lotta alla sorgente del bene e della vita, accettando di essere forza penultima e non ultima: ciò impedisce di cadere nella disperazione o nel cinismo di fronte al possibile insuccesso. Nell’insuccesso dello sforzo, permette di non leggere la parola “fine”, ma la parola “passaggio”, il quale seppure oscuro e misterioso, porta in sé comunque un seme di luce e di vita.

In questo tempo mi sono chiesto spesso se una comunità che si stacca sempre più dalle parole del Vangelo, per indifferenza, per disinteresse, o anche per reazione, riesca davvero a trovare altre parole per stare nella fragilità.

Oggi mi chiedo se questa parola del Vangelo possa ancora aiutare la nostra città a stare nella fragilità di questo tempo, con un po’ di speranza, senza cinismo, senza disperazione, senza agitazione, senza scorciatoie, senza strumentalizzazioni di ogni genere. Possono le nostre profonde radici cristiane ancora offrire linfa vitale ai pensieri, alle azioni, alle emozioni di questo tempo? Possono ancora divenire “cultura”, che interpreta questa storia?

Come cristiano e come vescovo, nel giorno della festa del suo Patrono, vorrei riconsegnare alla città di Padova le parole e le ispirazioni del Vangelo, per aiutarci tutti a vivere questo tempo di fragilità, a non perdere la speranza. Il nostro è un dono alla città, non una pretesa. E riconsegnando queste parole del Vangelo, che hanno aiutato tante generazioni ad affrontare grandi tragedie e sofferenze, prego per i giorni che verranno, dove altre fragilità emergeranno: le ferite provocate dal vuoto di chi ci ha lasciato, la fatica, le paure e la sofferenza delle persone che hanno già perduto o perderanno il lavoro, lo spaesamento e il disagio dei ragazzi privati per molto tempo di relazioni e di socialità, le famiglie provate dalla lunga permanenza in casa.

La parola del Vangelo, con lo Spirito che la anima raggiunga ancora le nostre coscienze, e, se necessario, le scuota un po’.

Sant’Antonio benedica e protegga la città di Padova, e interceda per noi affinché lo Spirito Santo illumini le menti di quanti sono chiamati a scelte di governo, apra il cuore alla speranza e alla carità, ci doni occhi vigili e orecchie attente alle fragilità dei nostri fratelli e sorelle.

+ Claudio Cipolla

Vescovo di Padova

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Fonte: Comunicato stampa