Mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti dal 2001, legge la situazione in Somalia. "Spero che tutti si mettano a servizio del Paese"

Mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti dal 2001, legge la situazione della Somalia dove vive da 40 anni. Chiedo ai fedeli laici, in un Paese di fede islamica, di essere i nostri “missionari” e di aiutare a comportarsi come fratelli e sorelle, nel rispetto delle differenze"

Mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti dal 2001, legge la situazione in Somalia. "Spero che tutti si mettano  a servizio del Paese"

«Mi capita di frequente di incontrare persone che mi chiedono: dopo tanti anni, come fai ancora a sperare che la situazione in Somalia cambi? E io rispondo che qualcosa si sta muovendo negli ultimi mesi, ma, soprattutto, che spero ancora perché ho fede in Dio, e la fede mi permette di credere che l’uomo è stato creato a sua immagine e somiglianza ed è quindi capace di rinsavire». Dopo trent’anni di gravi instabilità e guerre, oltre che di tentativi politici falliti, mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti, auspica che possa procedere l’embrionale processo di democratizzazione della Somalia. Mons. Bertin a fine novembre è stato per alcuni giorni nel Padovano, a Valsanzibio, suo paese di origine, nelle parrocchie di Conselve e Tencarola dove ha incontrato famiglie e giovani interessati a conoscere da vicino la situazione nel Corno d’Africa, terra nella quale vive da oltre quarant’anni.

Vescovo Giorgio, cosa c’è da attendersi per la Somalia, di cui è profondo conoscitore, per il prossimo futuro?
«Sarà importante capire come si muoveranno gli attori internazionali, che qui hanno grande influenza: non sono solo i somali a essere decisivi nel processo politico interno. Paesi come Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi, per non parlare della Turchia, hanno interessi e influssi predominanti. Poi ci saranno altri attori, come Unione Europea e Usa, che possono avere preferenze politiche. La speranza, in ogni caso, è sempre la stessa: che venga eletto un presidente, che sia al più presto sia formato un governo e che tutti si mettano a servizio del proprio Paese, degli interessi comuni in modo particolare per i più svantaggiati della nostra società»

Come si caratterizza la presenza della Chiesa cattolica in Somalia, Paese quasi totalmente di fede islamica?
«Ho solo un sacerdote che si trova nel Somaliland, a Nord, che celebra la messa nelle case. Per il resto la presenza cristiana è rappresentata dagli effettivi degli eserciti italiano, burundese e ugandese che fanno parte dell’Amisom (la forza di interposizione dell’Unione Africana), dell’Onu o di altri organismi con i loro due cappellani militari. Poi vi sono membri delle ong internazionali come quelle specificamente cristiane come Caritas Somalia, Catholic relief service e altre. Anche in passato la presenza dei cristiani era soprattutto di origine straniera, fino al 1990 si diceva che fossimo oltre duemila, il 90 per cento dei quali da Paesi esteri, in particolare italiani. Ma, al di là della presenza fisica, c’è una presenza morale che ha una sua grande importanza nel Paese e passa attraverso le parole del papa: Francesco ricorda spesso la situazione difficile e attira l’attenzione internazionale, mentre io stesso visito regolarmente il Paese e incoraggio i fedeli laici presenti a dare una testimonianza cristiana attraverso il loro impegno, il lavoro, l’azione umanitaria. Chiedo a loro di essere i “nostri missionari” e aiutare tutti a comprendere l’importanza di rispettare le differenze e comportarsi tutti come fratelli e sorelle».

E a Gibuti come opera la Chiesa?
«Dove ormai risiedo da 20 anni si lavora in un contesto di fede islamica, ma con un sostanziale rispetto dei ruoli. Anzi, in alcuni casi la Chiesa ha precorso i tempi: anni fa per esempio da una nostra azione a favore delle persone con disabilità, che fino a pochi anni fa venivano tenute segregate a casa, è nata un’agenzia statale che se ne prende cura e promuove, insieme alle nostre missioni, la loro inclusione».

Nato a Valsanzibio, ha dedicato la vita alla Somalia

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Mons. Giorgio Bertin è nato a Valsanzibio, in diocesi di Padova, il 28 dicembre 1946. Ha dedicato la sua vita alla Somalia dove è arrivato alla fine degli anni Sessanta, prima come missionario francescano, per divenire vicario generale e poi amministratore apostolico di Mogadiscio. È stato eletto vescovo di Gibuti il 13 marzo 2001. La sua consacrazione è stata il 25 maggio. Poi è entrato in Diocesi.

Ha fondato Caritas Somalia nel 1983

Con il suo predecessore, mons. Salvatore Colombo, ucciso nel 1989, mons. Bertin ha fondato Caritas Somalia nel 1983. Attraverso l’istituzione la Chiesa è presente in diversi contesti nel Paese: «Per diverse ragioni, sia religiose che logistiche, la nostra tattica è quella dell’hit and run, cioè colpisci e corri. Una volta individuato l’intervento da realizzare, lo curiamo e lo portiamo a termine, dando così sollievo e alle persone e poi ci ritiriamo».

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