Nel dramma, la comunione con il Cielo. La Pasqua di suor Francesca Fiorese

Morte undici sorelle. Iniziati il 5 marzo, i lavori del 14° Capitolo generale si sono presto interrotti per i contagi. Dopo sette settimane, sono state undici le sorelle che non ce l’hanno fatta. I lavori si sono conclusi e ora le religiose hanno una nuova regola di vita

Nel dramma, la comunione con il Cielo. La Pasqua di suor Francesca Fiorese

«Il 12 aprile di un anno fa era Pasqua. Papà era già in ospedale. Il capitolo generale era ripreso da una decina di giorni. Abbiamo provato a fare più festa possibile: la messa, il pranzo curato, una giornata trascorsa insieme con il vespro in memoria delle nostre sorelle morte nelle settimane precedenti. È stato un momento di passaggio, proprio secondo il significato della parola Pasqua: tutto quello che avevamo vissuto in quel mese, era riuscito a renderci sorelle nella diversità. Attraversare insieme un tempo di morte ci ha permesso di conoscerci tra suore italiane, brasiliane e burundesi, di prenderci cura l’una dell’altra. Anche di frizionarci, certo, non è stato tutto rose e fiori. Alla fine abbiamo imparato a collaborare e lavorare l’una a fianco dell’altra».

Suor Francesca Fiorese sfoglia le pagine del suo diario e torna con la mente a tredici mesi fa, quando l’impatto con la pandemia da Covid-19 è stato diretto, doloroso, per certi aspetti incredibile. Qualcosa che in Veneto, in quelle proporzioni, non abbiamo provato.

Il 4 marzo era a una riunione dell’Ufficio diocesano di pastorale sociale e del lavoro a Padova (di cui è direttrice), nella sede della fondazione Lanza; si parlava di come accompagnare le comunità cristiane verso le elezioni amministrative e regionali che si stavano avvicinando. Il giorno dopo, è partita per la Franciacorta, a Provaglio d'Iseo, dove la sua congregazione – quella delle Suore operaie della Santa Casa di Nazareth – dava inizio al 14° capitolo generale, un passaggio (un altro!) determinante per le religiose: si trattava di riscrivere la propria regola di vita, titolo dell’appuntamento “Sorelle di Vangelo per abitare la storia”. Trenta suore da tre continenti a tessere il futuro.

Di fronte all’imponderabile

Ma la situazione precipita in fretta, riprende suor Francesca: «Il 7 marzo la Lombardia e altre province del Nord Italia entrano in lockdown. L’8 viviamo la grande gioia, la professione di una giovane novizia, che organizziamo nel grande parco della casa che ci ospita». Insieme arriva la notizia della morte improvvisa del papà di suor Debora. «La sera, con altre compagne di noviziato, andiamo a trovare la nostra sorella e la famiglia, e per la prima volta abbiamo la percezione del dramma in cui stiamo entrando». Arriva l’ambulanza, c’è il rischio infezione, isola la salma, il figlio non può entrare in casa. Le suore possono salutare i congiunti solo dalla strada. In testa, solo una domanda: cosa sta succedendo? Nel diario di suor Francesca, queste parole: «Nel parco primule, violette, la magnolia è piena di fiori come fossero colombe posate sui rami. Fuori dal cancello, tutto prende il colore della fuliggine, con tutti sono asserragliati nelle loro case». Rendere la situazione a chi non l’ha vissuta è pressoché impossibile: «L’aria era come piombo. Giornate bellissime ma l’unico rumore che si sente solo le sirene delle ambulanze. In giro non c’è anima viva. Le notizie al tg regionale, la sera, sono solo carri di morti per questo virus».

L’irruzione del virus

Alla fine Covid-19 arriva anche al Capitolo. Le suore iniziano ad ammalarsi, vengono portate al pronto soccorso, i test sono positivi, vengono isolate. I contagi salgono subito a otto. Un medico segue tutte le religiose, ma non ci sono mascherine, o dispositivi di protezione. Si sono trovate in una situazione senza precedenti. «I lavori del Capitolo, sempre molto organizzati, sono stati completamente scombinati e devo dire che è stata una cosa bellissima, che ci ha addestrato alla comunione, quella vera. Ci ha obbligato ad avanzare al ritmo degli ultimi, delle sorelle malate, altrimenti, pur mettendo al centro il tema dell’interculturalità, avremmo proceduto a ritmi europei».

Tuttavia i contagi continuano a salire tra le sorelle capitolari e le suore anziane, presenti nella vicina casa madre di Botticino. Il 13 marzo muore di Covid suor Annunciata Pezzotti, è la prima delle undici suore operaie che non sopravviveranno. La realtà prende definitivamente il sopravvento sull’idea. Prima del blocco totale, il personale che si occupa di cucina e pulizie viene congedato, i lavori vengono sospesi. «Abbiamo capito subito che servivano organizzazione e flessibilità – riprende i fili della memoria, suor Francesca – Ci siamo divise in piccoli gruppi: tre per la cucina, due per la cura delle sorelle malate. Io mi rendo disponibile, non ho paura di ammalarmi, mi è venuto spontaneo occuparmi di chi sta male, è confinata nella propria camera, ha bisogno di tutto. In quei momenti sono le viscere che ti guidano».

Inizia la fase più drammatica. Le giornate diventano tutte uguali. Serve un nuovo ritmo, tra lodi e vespri a piccoli gruppi, adorazione continua nelle due cappelle, la condivisione della Parola nel pomeriggio, la ginnastica distensiva nel parco. «In quel momento ho sentito fortissima l’importanza della natura. Nel mio diario emerge fortemente il legame che abbiamo con il creato, fa parte della nostra profondità, anche se in città non ne percepiamo il valore. Lì la primavera esplodeva mentre le persone si spegnevano, un contrasto lancinante».

Il passato consegna il testimone al futuro

Per suor Francesca iniziano le corse. Colazione, spuntino, pranzo, spuntino, cena. Sempre a servizio delle sorelle, mai un sintomo. «Non ho mai fatto il test sierologico, ma ripensando a quelle giornate, chissà… probabilmente il virus è arrivato anche a me, magari sottoforma della stanchezza e del dolore articolare che lì per lì attribuisci allo stress e alla fatica».

Ma non ci sono solo le necessità, c’è l’umore di una comunità da sostenere, e chi conosce suor Francesca non ha dubbi che a incaricarsi di questa preziosa incombenza non possa essere che lei. Battute, canti sotto le finestre delle sorelle malate per rallegrarle. Persino la caccia alle uova e il barbecue a pasquetta: «È stato fantastico vedere queste suore rincorrersi, giocare, fare squadra, anche dentro un dramma così devastante».

Il 21 marzo è una giornata dolorosa. Le notizie di malattia e di morte si rincorrono, fuori e dentro la congregazione. A centinaia non trovano le cure. Suor Francesca annota nel diario: «I numeri fanno sparire i volti di padri, madri o figli morti, messi in un sacco e portati a cremare. Tanta apprensione nei cuori, il silenzio amplifica le sirene delle ambulanze».

È quello il giorno in cui si ammala gravemente suor Paola Staglianò. Di suor Francesca e di molte altre sorelle è stata la formatrice, colei che le ha accolte in convento, il “volto” dell’ordine di cui sarebbero entrate a far parte. «Quando l’hanno caricata in ambulanza l’abbiamo salutata, avevo la netta percezione che sarebbe stata l’ultima volta». E infatti la notizia drammatica arriva due settimane dopo, Domenica delle Palme, al telefono della madre superiora, proprio durante la messa su Youtube.

Il 26 marzo muore suor Emma Arrighini, madre generale dal 1996 al 2004. Era lei ad aver accolto i voti di tante che erano presenti. «Da tempo soffriva di Alzheimer, non era più presente: ho letto la sua morte come un segno – dice suor Francesca – In questo mondo forse suor Emma non avrebbe potuto dare molto, ma nella comunione dei santi sì. La morte di tante suore anziane, proprio mentre noi scrivevamo la nuova regola di vita: anche qui ho visto un passaggio, come se il “passato” consegnasse la sua eredità al “futuro”».

L’addio al papà

Alla fine, il periodo è durato per sette settimane. I lavori del Capitolo sono ripresi e si sono conclusi, «oggi abbiamo una regola di vita in linea con il presente, tagliata sulla misura del tempo che viviamo». Nulla è facile in quel momento, anche se non mancano spazi di luce, come i collegamenti con le comunità sparse nel mondo, la messa domenicale davanti alla tv, rigorosamente con la veste ripulita di tutto punto.

«Il momento più forte? La comunione con il Cielo. Un’esperienza che non avevo mai vissuto in modo così potente. In tutto questo distanziamento e solitudine devastante, impotenza, rimanere spaesate, allo stesso tempo comunione spirituale profonda di un sentire che va oltre la fisicità e l’esperienza. La sera del 16 aprile sentivo chiaramente che il giorno dopo papà sarebbe mancato. Ho chiesto il permesso di andare a casa. La mattina dopo chiamo mia sorella e anche lei aveva preso ferie. Ci siamo trovare in sala mortuarua. È stato devastate, ma eravamo pronte a lasciarlo andare. Non volevamo che soffrisse, da solo. Ringrazio per aver potuto sostare con la sua bara e per il piccolo funerale, venti giorni dopo. La comunione spirituale è centrale, ma siamo anche corpo».

La provvidenza della gente del posto

Provvidenza? «Tanta, tanta, tanta». Nei giorni del Capitolo, il sindaco di Provaglio ha portato mascherine alle suore isolate, la protezione civile ha provveduto ai detersivi, i commercianti hanno fornito cibo alle religiose che non potevano uscire

Insieme

«Ce l’abbiamo fatta perché eravamo insieme: stare insieme, sentire le comunità nel mondo, aiutarci. Vedere le suore più giovani accanto alle più anziane», racconta suor Francesca Fiorese. Tutto questo ha permesso di mettere a frutto quelle settimane indescrivibili, la cui condivisione continua tuttora negli incontro formativi che le suore operaie vivono periodicamente sulle piattaforme multimediali.

«Stare insieme è una grazia, è importante non stufarsi di condividere, rielaborare, e avere semplicità di raccontarsi perché questa esperienza possa tornare utile anche ad altri». il rischio, altrimenti, è quello di vivere il dramma solo in forma personale, anche dentro la propria comunità, la propria famiglia.

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