Ogni parrocchia è unica. Ma in diocesi c'è una bozza di lavoro sui "gruppi di parrocchie"

La Diocesi ha 459 parrocchie 211 hanno un parroco residente con una sola parrocchia, 123 sono riconducibili a 30 unità pastorali; le altre 125 convergono in 56 realtà in cui un parroco ha due o più parrocchie. Gruppi di parrocchie. Si sta discutendo una bozza di lavoro che, partendo da una fotografia della realtà diocesana, si interroga sul futuro. «La vitalità delle nostre parrocchie è ancora tanta: come orientarla? Il confronto è aperto».

Ogni parrocchia è unica. Ma in diocesi c'è una bozza di lavoro sui "gruppi di parrocchie"

Non si tratta di “ingegneria pastorale”, qualsiasi cosa voglia dire. E neanche di qualcosa di definitivo, anzi: la questione è in fase iniziale. Ma quale questione? Quella dei “gruppi di parrocchie”, di cui in queste settimane si sta discutendo in diverse parti della diocesi. Parroci, vicari parrocchiali, vice-presidenti dei consigli pastorali parrocchiali e vice-amministratori dei consigli per la gestione economica si stanno confrontando e interrogando su una bozza di lavoro che, «partendo dalla “fotografia” dell’attuale situazione diocesana – si legge all’inizio del documento – prova a raccogliere e rilanciare le riflessioni emerse dallo strumento per la consultazione La parrocchia e dalla Lettera dei giovani alla Chiesa di Padova, entrambi confluiti ne Il seminatore uscì a seminare». La bozza di lavoro, che ha per titolo I gruppi di parrocchie, «vuole indicare un cammino e ha carattere provvisorio».

Da dove si parte?
Ci sono una serie di domande, già esplicitate ne Il seminatore uscì a seminare, che muovono la riflessione: come tenere conto della particolarità di ciascuna comunità? Come coniugare l’originalità di ciascuna e la relazione con le parrocchie vicine? Quali criteri servono per le necessarie collaborazioni tra parrocchie vicine e quale può essere il rapporto tra l’ampio territorio diocesano e l’azione degli uffici?

«Domande su un fronte “caldo” e appassionante, come quello dell’identità della parrocchia – sottolinea don Leopoldo Voltan, vicario per la pastorale – Domande che indicano tre direzioni su cui impegnarci: completare la riflessione sulle nostre parrocchie (ce lo chiedono le persone, a partire dall’impulso offerto dal testo La parrocchia...); delineare una visione di Chiesa diocesana per quanto possibile condivisa; sostenere e orientare il servizio dei preti, dei diaconi, degli organismi di comunione (rinnovati solo lo scorso anno…), e delle persone più direttamente coinvolte nell’azione pastorale. Se guardiamo oggi alle nostre parrocchie, la vitalità è ancora tanta: come orientarla? Il lavoro condiviso sui “gruppi di parrocchie” va in questo senso».

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Fotografia della Diocesi
Diamo un po’ di numeri. Si stima che gli abitanti della Diocesi di Padova siano 1 milione e 100 mila. 459 sono le parrocchie. 211 hanno un parroco residente, al quale è affidata solo quella parrocchia («si tratta – si legge nella bozza di lavoro I gruppi di parrocchie – per lo più di parrocchie che abbracciano un territorio ampio, con un numero relativamente alto di abitanti e con diverse strutture»); 123 parrocchie, per un totale di 168 mila abitanti, sono riconducibili a 30 unità pastorali, organizzate in modi molto differenti; le altre 125 parrocchie, per un totale di 219 mila abitanti, convergono in 56 situazioni in cui un parroco ha la cura di due o più parrocchie.
«Si capisce bene – continua don Voltan – che il quadro diocesano è frastagliato. Un quadro più armonico aiuterebbe a muoversi, sul piano pastorale, in maniera più adeguata rispetto alle sfide del nostro tempo. Una delle quali è la progressiva diminuzione del numero dei preti. Perché non affrontarla come occasione per ripensarsi, come parrocchie, attivando e scoprendo le molte risorse presenti? La sfida, naturalmente, è anche per i preti. Ma, lo sottolineo con forza, ragionare sul futuro delle parrocchie non è un’azione di ingegneria pastorale. Dobbiamo tutti interrogarci su come le parrocchie possono davvero evangelizzare il nostro territorio e lasciarsi evangelizzare da esso. Perché è divino donare ma è divino anche ricevere. E ancora: come, dentro uno specifico territorio, far sì che tutte le parrocchie si sentano convocate a progettare e camminare insieme?».

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La proposta dei “gruppi di parrocchie”
«Il punto di partenza – si legge nella bozza di lavoro – è l’inter-relazione tra le parrocchie vicine: nessuna parrocchia può esistere da sola, senza costruire una relazione significativa con le altre».

«Già con la visita pastorale del vescovo Claudio – spiega don Leopoldo – sono stati scelti alcuni criteri per costituire i gruppi di parrocchie: omogeneità territoriale (dal punto di vista sociale, culturale, pastorale...), appartenenza amministrativa definita, valorizzazione delle collaborazioni ecclesiali già in atto. Le parrocchie che hanno vissuto finora la visita pastorale – siamo alla nona tappa – hanno ricevuto spunti e sollecitazioni per capire su quale “direzione” riflettere e confrontarsi. Il vescovo stesso sta raccogliendo interessanti verifiche sulla situazione e realtà dei gruppi di parrocchie, così come sono state definiti per la visita pastorale».

Tre prospettive, tre “consegne”
La bozza di lavoro – che in questi giorni viene affidata a parroci, vicari parrocchiali e vice degli organismi parrocchiali di comunione – contiene tre prospettive, che diventano domande, su cui continuare a lavorare. «Sono prospettive che nascono da una constatazione – evidenzia don Voltan – Il tempo che stiamo vivendo chiede flessibilità e leggerezza rispetto alle strutture/realtà/iniziative ecclesiali. Altrimenti rischiamo di appesantirci e utilizzare tante energie sui nostri “impianti pastorali”, magari perdendo lo slancio necessario per arrivare e per stare con le persone ».
Di questo tengono conto tre prospettive:
* «Estremizzando gli argomenti e le scelte – si legge nella bozza di lavoro – abbiamo di fronte due possibilità: impegnarci a valorizzare ciascuna comunità cristiana, anche quelle piccole e senza parroco residente, perché siano tutte soggetto della propria edificazione e dell’annuncio del Vangelo nel proprio territorio, in collaborazione con le altre parrocchie; oppure ridurre il numero delle parrocchie, arrivando ad averne 100-150 come risultato di fusioni e aggregazioni una sull’altra. Se vogliamo che si realizzi la prima di queste possibilità, non possiamo far altro che orientare tutti gli sforzi possibili per promuovere comunità e cristiani laici corresponsabili, motivati e preparati. Ci ritroviamo su questa scelta?»;
* non ci saranno collaborazioni calate dall’alto, «ma dovranno nascere dal confronto e dal dialogo fraterno tra le parrocchie di un preciso territorio». Al vescovo, che durante la visita pastorale sta ascoltando con attenzione le singole realtà, «il compito di prendere le necessarie decisioni al momento opportuno». «Sullo spartito “fisso” – le collaborazioni – sarà importante introdurre le note “variabili” di ogni realtà: unica, originale e non omologabile. Quali possono essere le collaborazioni realizzabili per la nostra parrocchia?»;
* ultima, ma non ultima, questione: in quali aspetti pastorali e in quali domande del territorio potremmo esprimere proficuamente la collaborazione? Sì, perché va chiarito «come si possa esprimere in maniera costitutiva, non quindi sporadica o puramente funzionale, la collaborazione nei gruppi di parrocchie».

Questioni aperte
La bozza di lavoro sui “gruppi di parrocchie” sottolinea alcuni fronti che chiedono un supplemento di riflessione. Possiamo riassumerli con tre domande: che fine fa il vicariato? Come si “collocano” in tutto questo i presbiteri? A che punto siamo sui “ministeri laicali”? Li accogliamo, questi fronti, sapendo che «la vita della Chiesa è nelle mani del suo Signore – si legge nelle ultime righe della bozza di lavoro – ma è affidata anche alle mani, all’intelligenza, ai cuori di tutti coloro che si lasciano coinvolgere dal dono e dalla missione del Risorto. Tra questi ciascuno di noi».

Che fine fa il vicariato? “Coltiverà” alcune funzioni

Nel 2018 i vicariati sono passati da 38 a 32 e la situazione è in divenire. «Questo processo – si legge nella bozza sui “gruppi di parrocchie” – rispondeva alla necessità di alcuni vicariati di collegarsi meglio rispetto al territorio». E ora cosa succede?

«Se lavoriamo per mettere al centro la soggettività della parrocchia e poi quella dei gruppi di parrocchie – evidenzia don Voltan – il vicariato si configura non tanto come un ulteriore livello di programmazione pastorale, ma come “luogo” che coltiva alcune funzioni: il collegamento tra vescovo e territori, alcuni percorsi formativi mirati, la fraternità tra preti. Il vicariato non sparisce, quindi, ma si trasforma». Questa riflessione chiama in causa anche gli uffici diocesani, a cui viene chiesto di mantenere il collegamento con i vicariati e allo stesso tempo favorire la prospettiva dei “gruppi di parrocchie”.

Preti: come si “collocano” in questo percorso?
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Nella bozza di lavoro sui “gruppi di parrocchie” c’è un paragrafo dedicato alla “conversione” dei presbiteri e alla loro fraternità. «Questo cammino sull’identità della parrocchia tocca la vita dei preti a tutto tondo – spiega don Leopoldo Voltan – A loro verrà chiesto di ripensarsi non solo pastoralmente (andando oltre l’accentrare su di sé scelte ed esperienze), ma anche a livello esistenziale. Già ne Il seminatore uscì a seminare, al capitolo 3, venivano sottolineate le caratteristiche di un prete per il nostro tempo: capacità di relazione e di accompagnamento nel discernimento; competenza nel celebrare e nel proporre la Parola di Dio, interpretazione dei processi culturali e sociali in atto… Il nostro presbiterio è già ricco e dinamico verso queste prospettive e questi stili, ma credo ci faccia bene richiamarceli ulteriormente, come piste essenziali su cui lavorare».

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