Penitenza e indulgenza. Alcune “coordinate”

Il sacramento della penitenza
Il momento in cui si confessano/dicono i peccati – chiamato confessio, secondo la tradizione della teologia scolastica – è preceduto dall’esame della coscienza.

Penitenza e indulgenza. Alcune “coordinate”

«La coscienza davanti a Dio riconosce il peccato commesso, quindi lo confessa... esprime il dolore, la contrizione: mi dispiace, Signore – spiega don Di Donna – Questo è un atto dell’anima, che la Chiesa ci insegna a manifestare nell’Atto di dolore. È la manifestazione verbale, esterna, che ci aiuta a manifestare l’interna contrizione del cuore: “Mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando... ho offeso te... Propongo con il tuo santo aiuto di non offerti mai più” (Atto di dolore). Il passaggio successivo è la soddisfazione, che nel linguaggio parlato definiamo il “fare la penitenza”. Il mio peccato, il male che ho compiuto, ha delle conseguenze: la Chiesa mi chiede da sempre di esprimere con un segno visibile il mio desiderio di riparare al male commesso. Mi chiede di porre il primo segno della vita nuova: “Va’ e non peccare più”».
Che la vita sia nuova, quindi. «“Se ho rubato a qualcuno – dice Zaccheo – restituisco quattro volte tanto”. È nel vangelo... Questo primo segno della vita nuova può essere una preghiera, un atto di carità, l’offerta di un sacrificio... che sono proporzionati alla gravità del peccato commesso. Il sacramento della penitenza è una realtà umana carica dell’amore di Dio, non un atto meramente giudiziale. Il prete mi assolve “e non ci penso più”; dopo la confessione mi sento bene: è vero, ma tutto questo deve essere collocato dentro l’amore di Dio. Devo sentire che il mio tornare a Dio è tutto».

L’indulgenza
«È un bene spirituale, attinto al tesoro della grazia di Cristo e del Corpo mistico, che la Chiesa offre ai fedeli, pentiti e confessati dei loro peccati. Un peccato commesso, dicevamo, ha delle conseguenze: tentiamo di colmarle con gli atti di penitenza che il sacerdote affida. Ma noi non abbiamo la certezza che nell’arco di tutta la nostra vita ripareremo al male commesso. Per questo la Chiesa cattolica ha fede nell’esistenza del Purgatorio: quando moriremo quelle conseguenze che il nostro male ha avuto, chi le colmerà se non siamo stati in grado di farlo nella vita presente? Le purificheremo prima di accedere a Dio. Che non vuol dire che ci sono ancora peccati da rimettere, ma conseguenze del peccato».
La dottrina delle indulgenze si riferisce a queste conseguenze del peccato da colmare in qualche modo. «Tutto questo “residuo” che con la nostra penitenza, carità, preghiera… tentiamo di colmare, la Chiesa – in certi momenti, come ad esempio quello che stiamo vivendo – ha il potere di purificarlo, attingendo alla grazia di Cristo per mezzo dell’indulgenza plenaria. Venerdì 27 marzo non abbiamo ricevuto l’assoluzione generale da papa Francesco. Abbiamo ricevuto, se il nostro cuore era rivolto a Dio pienamente, la purificazione delle conseguenze dei nostri peccati. È chiaro che in questo momento non possiamo accostarci alla comunione eucaristica e alla confessione – come richiesto dalla dottrina delle indulgenze – ma poiché non le possiamo ricevere... la condizione è il desiderio e l’indulgenza ci è data. In questo particolare momento, papa Francesco ha concesso l’indulgenza plenaria ai malati di Coronavirus, ai loro familiari e agli operatori sanitari».

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