Scuola. Tecnologia e innovazione? Al centro rimane la persona

Siamo agli inizi di un nuovo anno scolastico e tutti speriamo che la ripresa delle attività senza i più gravosi vincoli conosciuti nel periodo della pandemia possa restituire alle scuole la necessaria serenità per ripartire da ciò che conta.

Scuola. Tecnologia e innovazione? Al centro rimane la persona

Nel frattempo un importante investimento di risorse, mezzi, organizzazione, con fondi dal Pnrr, investe la scuola chiedendole una conversione tecnologica che, a partire dalla formazione dei docenti, dovrebbe interessare gli ambienti
di apprendimento, aule e laboratori, e trasformare la didattica in senso innovativo, digitale, maggiormente aderente alla sfida dei tempi. Ma la scuola non è solo tecnologia e riparte da alcune domande, attenzioni, cure, che ne contraddistinguono l’operato e lo rendono complesso e non riducibile a quello di una comune impresa o azienda. Si riparte anzitutto dai ragazzi, dai bambini e dagli adolescenti che popolano le nostre scuole e che attendono di essere accolti non come massa anonima ma come persone uniche, irripetibili, la cui umanità va conosciuta e valorizzata. Partire dai ragazzi significa mettere al centro la loro vita, non lasciar fuori, nell’impresa educativa, le domande esistenziali e le angosce che si portano dentro, non ignorare la rete di relazioni, la storia e la biografia che rende uniche le loro vite. Non rinunciando a comunicare un sapere esigente, rigoroso, a promuovere apprendimenti significativi, la scuola non può e non deve sottrarsi alla sfida di mettere quel sapere in rapporto con la vita degli studenti cui si rivolge, coinvolgendo non solo la loro testa, ma anche il loro cuore. Nel farlo, dovrà interrogarsi sulle competenze e atteggiamenti che serviranno nel futuro, traguardare le attività di oggi alla luce dei bisogni di domani, non dimenticando che una solida formazione umana e culturale consentirà loro di continuare ad apprendere, di orientarsi nella vita, di far fronte alla mutevolezza di scenari e richieste. Questa prioritaria dimensione, nella quale riconosciamo ancora lo specifico della scuola, è resa possibile dall’investimento educativo dei docenti, dalla relazione educativa, dall’apporto di professionalità, esperienza, passione. È attraverso la relazione educativa che il sapere giunge a interrogare la vita, che diventa significativo e generativo di competenze e non solamente deposito inerte di nozioni. Nella relazione educativa si riconoscono non solo la professionalità e competenza del docente, ma  anche è messa in gioco la sua umanità, come capacità di comprendere, accogliere, promuovere, sostenere, orientare, stimolare, dare fiducia… L’aspetto dell’umanità è quello più gravoso, coinvolgente, a volte doloroso, ma anche il più prezioso, quando diventa comunicazione di vita, di motivazione, di esperienza, testimonianza di valori. Scriveva don Lorenzo Milani: «Spesso gli amici mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma di come bisogna essere per poter fare scuola… Ed ecco toccato il tasto dolente: vibrare noi per cose alte. Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quel che si ha» (da Esperienze pastorali). Per sostenere la qualità e l’impegno di questo investimento è necessario che la scuola realizzi le condizioni per una comunità educante, che si fondi anzitutto sulla comunità professionale, su un’organizzazione che promuove la condivisione e la valorizzazione del personale docente, affinché, espunti personalismi e sterili conflitti, l’azione educativa e l’accompagnamento degli alunni siano rimessi al centro. Comunità scolastica significa anche attenzione alla formazione della classe come gruppo, alla promozione di legami affettivi e cooperativi fra i suoi componenti, attraverso una didattica nuova, che stimoli la partecipazione attiva, la curiosità, la ricerca, la costruzione sociale della conoscenza. La comunità educante si estende anche fuori della scuola, alle relazioni con i soggetti del territorio, a partire dalle non sempre facili relazioni coi genitori: riscoprire un’alleanza educativa che non lasci soli i docenti, restituire all’azione della scuola quella credibilità che tanti atteggiamenti di sfiducia e svalutazione contribuiscono a minare, superare comportamenti di delega e di iperprotezione, confrontarsi insieme per costruire il futuro dei ragazzi, un futuro esigente, che richiede risposte corali. Il nuovo che si richiede alla scuola è allora l’esito più complesso di una serie di attenzioni e cure, che dalle tecnologie e dagli ambienti si estendono alle persone, ai climi, alle relazioni, alla qualità della didattica per un rapporto sempre più fecondo fra sapere e vita: tutto questo può essere definito come “attenzione o qualità educativa”. Una scuola che, istruendo non rinuncia a educare, svolge oggi in modo nuovo e adeguato ai tempi, affiancando l’azione delle famiglie, il compito istituzionale che da sempre le è affidato, di inserire i giovani nel mondo della cultura, di attrezzarli con idonee dotazioni di competenze e conoscenze, di aprirli all’universo dei valori, alla comprensione di sentimenti ed emozioni, per un positivo inserimento nella vita sociale a partire dalla valorizzazione della propria originalità personale.

Rocco Bello
già dirigente scolastico del Liceo classico Tito Livio di Padova componente del Comitato scientifico della Fondazione Bortignon

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