Sinodo, il 14° tema. Beni della terra: sfida costante per i cristiani

Il 14° e ultimo tema sinodale: “Strutture e sostenibilità economica: la gestione ordinaria e straordinaria tra opportunità e criticità”

Sinodo, il 14° tema. Beni della terra: sfida costante per i cristiani

Parlare di argomenti economici all’interno della Chiesa è sempre complesso e delicato: essa, per vocazione, tende ai beni del Cielo eppure, vivendo nella storia possiede una grande quantità di beni materiali. «Noi cristiani abbiamo la tendenza a separare ciò che è “pastorale” da ciò che riguarda la gestione dei beni, dimenticandoci che è proprio Gesù a ricordarci che “dov’è il tuo tesoro lì è anche il tuo cuore” (Mt 6,19). Non possiamo fuggire dal confrontarci con i beni della terra. Anzi: è anche nel modo in cui noi ci rapportiamo a essi che si gioca il nostro essere cristiani». Esordisce così don Lorenzo Celi, nominato da poco vicario episcopale per i beni temporali della Chiesa di Padova; succede a don Gabriele Pipinato che per nove anni ha svolto questo delicato servizio, aprendo importanti prospettive di visione e raggiungendo significativi traguardi in termini di trasparenza e professionalità nella gestione economica della Diocesi e nella rendicontazione, fino alla certificazione del bilancio diocesano. Don Celi esprime soddisfazione per il fatto che la Commissione preparatoria del Sinodo abbia voluto inserire tra i temi quello dedicato alle strutture e alla loro sostenibilità economica. «Sostenibilità è la parola cardine su cui dobbiamo riflettere. Si può declinare in due altre parole che vanno recuperate nel nostro rapportarci ai beni che la storia ci ha consegnato: strumentalità e sobrietà. Dobbiamo sempre ricordarci che le strutture e i beni non sono il fine dell’azione pastorale, ma sono strumenti messi a nostra disposizione perché possiamo realizzare la missione che il Vangelo ci consegna: servire la persona nella sua integralità, avendo cura specialmente degli ultimi. La sobrietà poi è lo stile che Gesù ci ha consegnato: spesso l’abbiamo intesa come una virtù mesta, che parla di rinuncia e tende al ribasso. Rappresenta, invece, una sfida costante perché ci impone non solo di usare dei beni con senso di misura ed equilibrio, ma anche di non sprecare, mettendo a frutto ciò che possediamo con responsabilità e lungimiranza».

Vanna Ceretta, economa della Diocesi, accompagna quotidianamente le parrocchie e gli enti diocesani nel faticoso processo di gestione delle risorse e delle strutture. Sottolinea anzitutto «lo sforzo che la Chiesa di Padova sta compiendo nel cercare criteri e regole condivise anche nell’amministrazione dei beni». A suo avviso «proprio la condivisione di principi e norme di azione è il primo segno della comunione. In questi anni stiamo cercando di portare avanti insieme un progetto grande che ci coinvolge tutti: ripensando al nostro essere Chiesa e al modo di rapportarci al mondo, non possiamo dimenticarci di guardare al nostro rapporto con i beni e con le strutture. Infatti, se il Sinodo ha come scopo quello di rispondere alle domande più volte richiamateci dal vescovo – che Chiesa vogliamo essere? Cosa chiede il Signore alla Chiesa di Padova? Qual è il bene che il Signore vuole per la nostra Chiesa diocesana? – dovrà con coraggio e senso di responsabilità chiedersi se quanto di materiale abbiamo ricevuto è ancora una risorsa strumentale al nostro essere Chiesa o se è diventato zavorra, e, qualora fosse quest’ultima la risposta, vincere la paura di ritornare a essere “leggeri”, scorgendo in questa scelta un’opportunità per ritornare a essere più agili nel camminare insieme».

Mariangela Andreazza ha fatto parte della Commissione preparatoria del Sinodo ed è ora membro dell’Assemblea sinodale e relatore della Commissione di studio sul 14° tema. «Non era particolarmente emerso il tema economico, nel materiale degli Spazi di dialogo parrocchiali, ma è risultato di rilevanza in quello di ambito dei presbiteri; per questo è stato inserito tra gli argomenti oggetto di riflessione sinodale. Sarà interessante affrontare questo tema, molto concreto e contingente». Il confronto avverrà all’interno delle due commissioni ad hoc cui è stato assegnato, che si riuniranno tre volte di qui a dicembre mettendo in pratica il discernimento seguendo un metodo preparato dalla Segreteria del Sinodo. A gennaio, poi, ogni commissione acquisirà i risultati emersi dai vari gruppi di discernimento parrocchiali e lavorerà sul materiale fino a marzo-aprile. Poi le commissioni si scioglieranno perché quanto prodotto sarà oggetto di un nuovo strumento di lavoro su cui si inizierà a discutere e ad assumere delle posizioni che poi verranno presentate al vescovo, affinché possa decidere.

Maria Pia Vallo, docente di economia e diritto all’istituto Barbarigo, è anche membro del Consiglio diocesano per la gestione economica, l’organismo che ha il compito, assieme al Collegio dei consultori, di consigliare il vescovo nell’assunzione delle decisioni più rilevanti nell’ambito economico, vagliando le richieste e i progetti delle parrocchie e degli altri enti. Anche Vallo ritiene oggi più che mai centrale il concetto di sostenibilità: «Tutte le strutture dovrebbero organizzarsi secondo una logica gestionale di sostenibilità e, come comunità cristiane, dovremmo essere esempio di buona gestione… mi viene in mente l’invito di Gesù a essere “lampada posta sul lucerniere”. I criteri economici, supportati dai valori che il Vangelo ci consegna, non devono farci paura e vanno colti nelle loro varie sfaccettature. Per fare questo è necessaria “preparazione”: nelle nostre realtà parrocchiali l’aspetto economico non può essere considerato residuale e servono persone generose e competenti che, nella corresponsabilità, affianchino il parroco, anche nella gestione dei beni. L’aspetto della formazione è dunque di primaria importanza: riguarda i laici, ma anche i presbiteri. Un parroco per la legislazione vigente è il legale rappresentante e l’amministratore dei beni della parrocchia: sarebbe importante, fin dagli anni della preparazione in Seminario, fornirgli quegli strumenti che gli saranno indispensabili nel suo servizio». Richiama poi il dovere del “non spreco”: «In una logica di economicità penso ci siano molte strutture inutilizzate quando invece ci sarebbe la possibilità di valorizzarle, direttamente o impiegandole per ricavare risorse da destinare alle azioni proprie della Chiesa». Il tema dunque è quello di non lasciare che i beni si deteriorino, ma decidere per una loro utile destinazione, avendo altrimenti il coraggio di alienarli. Maria Pia Vallo richiama alcuni esempi che ha potuto analizzare in questi anni in Consiglio diocesano e auspica possano trovarsi spazi per far emergere best practices, come esperienze di condivisione di spazi tra realtà, forme di collaborazione tra parrocchie, economie di scala da operare nel mettere insieme servizi, come avvenuto con il Gruppo di acquisto diocesano per l’energia o i servizi assicurativi.

Don Paolo Rizzato, parroco di San Paolo in Padova e presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, nato nel 1985 quando, in virtù della revisione del Concordato, sono stati fatti confluire in esso patrimoni e “benefici” delle varie parrocchie che, fino ad allora, servivano per offrire sostentamento al parroco e agli altri sacerdoti in cura d’anime. L’Istituto è dunque responsabile di un patrimonio ingente di immobili e terreni, che deve amministrare secondo criteri molto rigorosi. «L’esperienza maturata in questi anni dell’Idsc può essere utile a una riflessione sulla gestione dei patrimoni della Chiesa di Padova, pur rappresentando una realtà completamente diversa da quella delle singole comunità parrocchiali. Come Istituto ci preoccupiamo sempre di valorizzare al meglio il patrimonio. Se, ad esempio, ci sono appezzamenti agricoli improduttivi, perché si trovano in territori marginali o suddivisi in più Comuni, cerchiamo di venderli e concentrare l’attività agricola su terreni migliori. Così per quanto riguarda gli edifici: in questo modo cerchiamo di mettere in atto una strategia di visione». Le parrocchie, dal canto loro, «possiedono molti beni: alcuni “istituzionali” (chiese, campanili, case canoniche e patronati, scuole dell’infanzia, cinema) altri invece che possono mettere a reddito, come negozi o appartamenti, spesso frutto di donazioni o lasciti testamentari. Potrebbe essere utile una visione unitaria, manageriale, un coordinamento delle comunità e dei vicariati, ragionando su una reciprocità fraterna; penso a un coordinamento che valorizzi le competenze, rispettoso delle singole identità e della storia di ogni territorio, ma che sia anche in grado di mettere in campo azioni di più ampio respiro, graduali e misurate nel tempo, con un programma specifico».

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