Terracotta, materia prima di religiose emozioni

Comincia con il restauro del Compianto sul Cristo morto conservato nella chiesa di San Pietro, a Padova (parrocchia della Cattedrale) il terzo progetto del Museo diocesano e dell'ufficio beni ecclesiastici finalizzato al restauro e alla valorizzazione di opere d'arte conservate nelle chiese della diocesi. Il progetto prevede l'intervento su tre terrecotte quattrocentesche: oltre al gruppo di San Pietro, due Madonne col Bambino conservate a San Nicolò e Pozzonovo.

Terracotta, materia prima di religiose emozioni

“Mi sta a cuore”: perché è un gioiello d’arte della mia comunità; perché è un’espressione della mia fede e di quella dei miei padri e madri; perché contemplarlo mi suscita emozioni profonde.

La terza edizione del progetto di sensibilizzazione per il restauro e la valorizzazione di opere d’arte delle chiese della diocesi, ideato dal museo diocesano in collaborazione con l’ufficio beni culturali, si rivolge a tre sculture in terracotta del Quattrocento: il Compianto sul Cristo morto della chiesa di San Pietro (dove è stata presentata l’iniziativa) e due Madonne col Bambino della chiesa di San Nicolò in Padova e Pozzonovo.

«La terracotta dipinta – spiega il conservatore del museo diocesano, Carlo Cavalli – che tornò in auge a Firenze nella prima metà del Quattrocento e fu portata a Padova da Donatello e dalla sua scuola, è una scultura devozionale ed emozionale, espressione naturale dei moti dell’animo. La tecnica del “modellare”, che l’accomuna ai bronzi donatelliani, consentiva di produrre un gran numero di opere. Purtroppo poche di esse sono giunte fino a noi, a causa della fragilità del materiale con cui erano realizzate».

Il Compianto di San Pietro, per esempio, da cui partirà la campagna di restauri, è quasi un unicum nel suo genere: ne esisteva uno simile nella chiesa di San Benedetto ma è stato mandato in frantumi dalle bombe. Per questo sarà importante, nella prospettiva del restauro, l’opera di indagine e studio a cui l’opera viene sottoposta, grazie alla convenzione siglata tra Diocesi, Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio e Centro interdipartimentale di ricerca, studio e conservazione Ciba dell’Università di Padova. «Lo studio di questo gruppo – spiega la soprintendente Monica Pregnolato – sarà un’autentica avventura, perché è un’opera complessa, scultorea, pittorica e architettonica insieme, di cui si sa pochissimo. Non si conosce l’autore né l’originaria ubicazione di questa “Sacra rappresentazione” di grande forza emozionale, brunita da secoli di devozione».

Un giallo già cominciato con l’entrata in campo della “polizia scientifica” dei beni culturali, che con l’apporto di chimici, ingegneri e tecnici dell’ateneo darà la caccia a tutti gli indizi visibili e invisibili rimasti sull’opera. «Le diagnosi non invasive – sottolinea Rita Deiana dell’Università – sono già iniziate e stanno appassionando il nostro gruppo di lavoro che ritaglia ogni attimo disponibile attorno a questo enigma. Poi verrà il prelievo di microcampioni e la scannerizzazione che produrrà un modello 3d per la percezione tattile dei non vedenti». La campagna di studi è finanziata dalle fondazioni Cariparo e Antonveneta. «Ma resta fondamentale – sottolinea il direttore del museo Andrea Nante – il coinvolgimento di tutte le persone sensibili perché l’arte è anzitutto della gente».

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