Tribunale ecclesiastico Triveneto. Vicino alle famiglie ferite

546 il numero di istanze pendenti, 152 invece le domande introdotte, che sono meno rispetto all’anno precedente (erano 206). La maggior parte delle cause ottiene sentenza affermativa. In relazione alle cause terminate, in 53 è presente un patrono d’ufficio (il 28 per cento) e l’esenzione totale è stata concessa a 25 persone, a tre invece quella parziale. Nelle 186 cause terminate sono state sentite, nel corso della fase istruttoria, circa 900 persone (considerando le parti e i testimoni ascoltati). Sono alcuni dati dell'attività del Tribunale ecclesiastico regionale del Triveneto, uno tra gli altri mezzi che la Chiesa mette in atto per essere vicina alle famiglie ferite.

Tribunale ecclesiastico Triveneto. Vicino alle famiglie ferite

Anche quest’anno, nonostante l’emergenza legata al Covid 19, il Tribunale ecclesiastico regionale del Triveneto, con sede a Zelarino, ha presentato i consueti dati statistici relativi alle cause per processo ordinario e brevior e che fanno emergere come la pandemia abbia influito anche sull'attività del tribunale. In particolare due i fattori rilevanti: la difficoltà economica che molte persone stanno affrontando e un rallentamento delle istruttorie causato dalla chiusura nei mesi di marzo e aprile della Cancelleria del tribunale.

Nel complesso i dati 2020 aiutano a capire quale sia l’attività del tribunale, che va al di là dell'aspetto giuridico, ma rientra in un ambito di pastorale ad ampio raggio. Nella richiesta, ad esempio, del patrono di fiducia (133 le richieste della parte attrice e 17 della parte convenuta su 186) o dell’esenzione delle tasse giudiziali totali (riconosciuta a 19 persone per la parte attrice e 6 per la convenuta) o parziali si evidenzia un aspetto particolare del Tribunale ecclesiastico. «Queste due agevolazioni – chiarisce don Tiziano Vanzetto, vicario giudiziale per la Diocesi di Padova – dipendono dal reddito che però non è solo documentato dall’Isee, ma tiene conto anche della situazione concreta delle persone: un mutuo da pagare, una quota da versare alla moglie per i figli, dei debiti. La situazione è variegata e andiamo oltre lo schema previsto dalla società civile, siamo più attenti alla situazione effettiva e concreta della persona, indipendentemente dallo stipendio. Teniamo conto che le coppie che hanno fallito il loro matrimonio si trovano anche per questo stesso motivo in difficoltà economiche. Un fallimento matrimoniale genera un fallimento finanziario. Siamo attenti anche a questo, perché l’attività dei tribunali ecclesiastici non sono altra cosa rispetto all’attività pastorale della Chiesa, intesa nella sua globalità e in riferimento alla realtà della famiglia. Il tribunale ecclesiastico, come richiamato dall’esortazione apostolica Amoris laetitia, è uno tra gli altri mezzi che la Chiesa mette in atto per essere vicina alle famiglie ferite e accompagnare gli sposi cristiani a comprendere cosa hanno vissuto celebrando un matrimonio che poi è finito e quali nuove vie il Signore chiama loro a percorrere».

L’attenzione non è rivolta quindi solo all’aspetto economico delle persone, ma anche al disagio che stanno vivendo, alle difficoltà di esprimere sentimenti e dubbi, alle ferite che portano e alla rabbia che hanno dentro. È fondamentale mettere a proprio agio chi si rivolge al Tribunale ecclesiastico, solo così poi la persona può parlare senza paure e senza schermi. «Cerco di spiegare cosa succede in modo che sia tutto chiaro subito – spiega il vicario giudiziale – Mi do del tempo per aiutare le persone a capire l’importanza di quello che stanno vivendo, come parte interessata o chiamata a testimoniare a favore di amici e parenti. Ci vuole una grande umanità e soprattutto non dimentico che sono sacerdote: non faccio prediche, ma l’esperienza di fede mi aiuta. Spesso le persone riscoprono il rapporto con Dio a seguito di un fallimento. Cerchiamo di capire se ciò che è finito è stato fondato sulla roccia o sulla sabbia, per richiamare il Vangelo. In entrambi i casi si fa fatica e si spendono energie, ma in un caso si costruisce sul nulla e quando la Chiesa lo riconosce è un conforto, è terapeutico da un punto di vista spirituale e psicologico, perché non c’erano i fondamenti». E come spiegare questo fallimento ai figli? «Se hanno visto i genitori non volersi bene – conclude il vicario – è un atto di giustizia sentirsi dire che il matrimonio non è mai esistito. La paternità e maternità non viene toccata, ma saper spiegare ai figli vuol dire aiutarli a capire cosa è successo e spiegare il valore stesso del matrimonio, anche per il loro futuro».

Alcuni dati

546 il numero di istanze pendenti, 152 invece le domande introdotte, meno rispetto all’anno precedente (erano 206). Per quanto riguarda le cause concluse: sono 186, fra processo breve e processo ordinario, di cui 171 con sentenza affermativa, 13 negativa e 2 archiviate. Ne sono rimaste pendenti 512. La maggior parte delle cause quindi ottiene sentenza affermativa. In relazione alle cause terminate, in 53 è presente un patrono d’ufficio (il 28 per cento) e l’esenzione totale è stata concessa a 25 persone, a tre invece quella parziale. Nelle 186 cause terminate sono state sentite, nel corso della fase istruttoria, circa 900 persone (considerando le parti e i testimoni ascoltati).

Processo breve, via poco seguita

La riforma dei processi per la dichiarazione di nullità, voluta da papa Francesco nel 2015, ha introdotto una novità: che giudice sia il vescovo diocesano

Nel discorso tenuto agli ufficiali del Tribunale della Rota Romana, il 29 gennaio 2021, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, papa Francesco ha toccato alcuni temi connessi con le situazioni dei matrimoni falliti esaminate dai tribunali ecclesiastici: la parte che non è disposta ad accettare che il matrimonio venga dichiarato nullo; la ricaduta sui figli del provvedimento del tribunale ecclesiastico; la nuova unione sacramentale che segna anche per i figli una nuova condizione di vita che andrebbe spiegata.

«Il papa – spiega don Tiziano Vanzetto – ha inoltre richiamato l’importanza, come già fatto in altre occasioni, della riforma dei processi per la dichiarazione di nullità da lui voluta e attuata con il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus del 15 agosto 2015. In particolare ha ribadito l’importanza del processo breve che prevede che giudice sia il vescovo della diocesi, coadiuvato dal proprio vicario giudiziale e dagli operatori del proprio tribunale». La riforma prevede che si possa seguire questa via a due condizioni: che la domanda sia proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro, e che ricorrano circostanze e fatti provati che rendano manifesta la nullità. Le due condizioni devono essere entrambe presenti.

I dati statistici dell’attività del Tribunale ecclesiastico mostrano quanto raramente venga seguita questa via (nel 2020, 7 cause su 186 terminate). «Il motivo – chiarisce don Vanzetto – sta nel fatto che difficilmente si possono verificare le due condizioni previste sia per la complessità dei casi che richiedono un esame approfondito, per cui la nullità non può ritenersi “manifesta”; sia per la conflittualità o la non convergenza dei coniugi. I dati statistici dimostrano che solo nel 37 per cento delle cause introdotte l’altra parte, rispetto a chi chiede la nullità, dichiara di accettare».

Iter del processo breve

La domanda (libello) per il processo breve va presentata direttamente al vicario giudiziale del Tribunale diocesano, il quale, verificata la sussistenza delle condizioni previste, procederà con gli altri adempimenti fino a sottoporre il caso al vescovo affinché, se matura la certezza sulla nullità del matrimonio, pronunci la sentenza affermativa. Dopo la presentazione della domanda, tutto si svolge in una sola udienza e all’avvocato (se c’è) e al difensore del vincolo (che sempre deve esserci) vengono concessi 15 giorni di tempo per presentare le proprie osservazioni. Dopodiché, con il parere di due assessori, gli atti vengono consegnati al vescovo per la sentenza. Se il vescovo ritiene che il matrimonio non può essere dichiarato nullo, la causa viene rimessa al processo ordinario per gli approfondimenti necessari fino alla sentenza definitiva che, in questa eventualità, viene pronunciata da tre giudici come per tutti gli altri casi.

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