«Tu sei sacerdote per sempre, in eterno». L'omelia del vescovo Claudio per le ordinazioni presbiterali

L'omelia pronunciata dal vescovo Claudio in occasione dell'ordinazione presbiterale di Nicola Cauzzo e Antonio Benzoni. »A noi popolo sacerdotale è assegnata la missione di andare a cercare tutti gli uomini e le donne, soprattutto le persone in difficoltà per parlare loro della dignità di ogni persona e del Regno di Dio che va realizzandosi»

«Tu sei sacerdote per sempre, in eterno». L'omelia del vescovo Claudio per le ordinazioni presbiterali

«Tu sei sacerdote per sempre, in eterno»: cantando questo versetto in occasione dell’ordinazione presbiterale quasi istintivamente pensiamo a questi giovani: sono i nostri figli, i nostri amici, i nostri vicini di casa… e con grande senso di rispetto e di venerazione, con tanta fede, assistiamo al realizzarsi in loro di un evento che ci supera e ci sorprende: saranno sacerdoti per sempre.  Si assumono un impegno che riguarda tutta l’estensione della loro vita, per sempre: questo “per sempre” mette preoccupazione!

Qualcosa di simile viene percepito in occasione dei nostri matrimoni.  «Io prendo te come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre…». Forse è l’aspetto che più spaventa: “per sempre”! Soprattutto quando è detto da noi uomini e donne! Negli altri possiamo avere fiducia, ma non sempre c’è questa fiducia in se stessi.

La crisi di vocazioni al matrimonio o alla vita consacrata e al ministero ordinato nasconde scoraggiamento nei confronti di se stessi, nasconde una crisi spirituale. Ed ogni crisi spirituale può nascondere una crisi umana e culturale. L’uomo che non crede più in se stesso, nelle sue capacità, nelle sue vocazioni è testimone di una crisi culturale, reazione alla scomposta ed esagerata fiducia in se stessi, in chi vuole fare tutto da solo, conquistare il mondo e la vita con le proprie energie: un uomo educato a collocarsi come centro del mondo, da solo di fronte a tutti e a tutto, al mondo e al futuro.

Suona forte, provocatorio: «Tu sei sacerdote per sempre, in eterno» detto di un giovane. Non ci sorprende più di tanto che soltanto due persone in tutta la grande Chiesa di Padova vengano ordinate presbiteri. Anzi, sembra il risultato di una specie di rassegnazione che percorre le nostre famiglie ed i pensieri di tutti noi quando consideriamo ormai normale ed ovvio che non si risponda alla vocazione al matrimonio e a quella al ministero sacerdotale, che non si possano compiere scelte “per sempre”. Tra forti depressioni psicologiche e spirituali ed esagerati idealismi professionali stentiamo a trovare il nostro benessere, la nostra strada, la nostra vocazione: quasi sempre infatti la nostra vocazione è disegnata nella normalità delle relazioni affettive, delle doti e risorse personali, nei sogni di uomini e donne semplici, come siamo noi. Mentre siamo provocati a contare solo su noi stessi, sulle nostre forze, sul nostro ingegno, sulla nostre arti: da soli senza relazioni, senza storia e senza territorio.

Ecco la novità cristiana: il ritornello che canteremo va interpretato con l’aiuto di tutti gli altri canti e di tutte le preghiere: non parla di noi, non parla di Nicola e di Antonio. Non parla dei nostri affetti o dei nostri servizi: l’unico sacerdote eterno, per sempre, è Gesù! La novità consiste nel lasciare spazio al Signore, nel permettere che il Signore, l’eterno sacerdote, sia presente nella nostra vita. Porre al posto del nostro io, il Signore Gesù.

È un grande lavoro, quello di porre il Signore Gesù al posto di noi stessi, della nostra vita! Per tutti è un grande lavoro: per i coniugi, per i religiosi, per i ministri ordinati, per tutti i battezzati. Un seminario diventa il simbolo forte di questa grande operazione. Ma anche i percorsi formativi vissuti nelle nostre parrocchie dai giovani e ai meno giovani. Spostare il nostro io perché riveli Dio è la santità. È la beatitudine che Gesù ci ha promesso. È anche la sfida per questi nostri tempi, per le nostre parrocchie, per la nostra diocesi, per la tua vita. Avremmo vocazioni grandi se introdurremo con forza questo grande spostamento… questo grande dinamismo che è la vita cristiana stessa: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»…

Certo non siamo soli con le nostre forze e i nostri ideali, altalenanti tra depressioni ed esaltazioni, sballottati come legnetti leggeri da qualsiasi onda: possiamo aggregarci e unirci a Gesù, come a una roccia. Fare spazio a lui nella nostra vita significa trovare un sostegno, un appoggio. I nostri “sì” sono sempre fragili: talora troviamo coraggio appoggiandoci ad amici, talaltra troviamo un compagno o una compagna di vita, ma stasera cantiamo con fede che solo Gesù è il nostro sacerdote. E lo è per sempre. Nè ci sentiamo umiliati nel chiedere aiuto, perché ci scopriamo amati. Aggrappandoci a lui troviamo stabilità e consistenza per la nostra vita.

Da parte nostra riconosciamo per sempre e umilmente la debolezza, la fragilità, l’insicurezza: non siamo superuomini o superdonne, abbiamo bisogno di aiuto; non siamo nemmeno insignificanti, inutili, sbagliati, abbiamo anche noi un nostro posto nel mondo. Con umiltà chiediamo ancora aiuto a Dio come hanno fatto i cristiani che ci hanno preceduto e ai quali chiediamo, con l’intercessione comune, di essere presenti a questa assemblea per insegnarci l’arte del discepolo.

Non solo. Una preghiera nota e importante ci apre a uno sguardo bellissimo. È la seconda preghiera eucaristica quando si dice: «Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il nostro servizio sacerdotale». Anzi in tutte le preghiere eucaristiche c’è un “Amen” che indica la nostra partecipazione intensa e comunitaria al mistero del Signore Gesù, unico ed eterno sacerdote, il quale unisce al suo sacerdozio eterno tutti i cristiani. È il dono del battesimo che fa di tutti noi un popolo sacerdotale. Lui è il capo e noi siamo le membra di un unico corpo sacerdotale. E il solenne AMEN con il quale chiudiamo la grande preghiera eucaristica indica la nostra partecipazione al suo sacerdozio.

La dignità di ogni battezzato, uomo o donna, è conferita dal battesimo che rende tutti noi sacerdoti del Dio altissimo. Ognuno è invitato a offrire a Dio, con lui, per lui e in lui, ogni onore e gloria; questo è il sacrificio a Dio gradito: la vita di Gesù e al suo seguito la nostra vita di suoi discepoli. In questo consiste il nostro culto e la bellezza di una liturgia.

È la nostra vita semplice, fatta di piccole fedeltà, di ordinarie quotidianità, di incontri casuali, di eventi normali che viene assunta da Gesù e valorizzata, così riempita di senso da cambiare la vita in un pellegrinaggio che ha come meta il cielo. La nostra terra è piena di eroi e di personaggi, ma il cielo no, è composto di tanti poveri, miti, perseguitati, peccatori e prostitute… In cielo c’è anche il nostro posto e Gesù non solo ci chiama e attende là, ma prendendoci là dove siamo ci accompagna come fratello.

A noi popolo sacerdotale è assegnata la missione di andare a cercare tutti gli uomini e le donne, soprattutto le persone in difficoltà per parlare loro della dignità di ogni persona e del Regno di Dio che va realizzandosi e nel quale c’è un posto per ciascuno. Tutto il mondo è di Dio ed è da lui amato. Egli ha sparso su tutta la terra il suo popolo perché tutta la terra possa essere benedetta e presentata a Dio come propria sposa, come Gesù ci ha insegnato.

Sì, in Gesù, sacerdote per sempre, vediamo la natura della nostra comunità diocesana e delle nostre comunità territoriali: un popolo sacerdotale suddiviso in tante comunità sacerdotali che abitano tutta la terra.

In questo immenso popolo sacerdotale, sparso su tutta la terra, alcuni sono scelti per aiutare e sostenere il sacerdozio dei cristiani e vengono costituiti ministri della nuova alleanza, quella che vede Gesù come protagonista e che coinvolge tutto il popolo cristiano. Si tratta dei vescovi innanzitutto che sanno di poter contare sul servizio dei presbiteri e dei diaconi. Ecco dove siamo chiamati e dove ci collochiamo: al servizio del sacerdozio del popolo cristiano. Al servizio perché ciascuno possa offrire la sua vita per il realizzarsi del regno di Dio.

La festa del Corpus Domini è segno di questo legame tra Cristo e noi suo popolo. Siamo un corpo solo, una cosa sola. Nel pane che spezziamo vediamo il Signore Gesù che dona se stesso, ma vediamo anche noi stessi, sua Chiesa, suo corpo, che lo seguiamo sulla strada della donazione della vita. Con la sua presenza fedele osiamo dire che continueremo “per sempre” a fare questo in sua memoria. Per sempre! Ne abbiamo il coraggio perché c’è questo segno che ci ricorda e garantisce la sua vicinanza. Vogliamo vivere, non deprimerci, né esaltarci. Vogliamo vivere dove il Signore ci ha collocati, contenti di essere aggrappati a lui.

Sant’Agostino dice:  

«Se vuoi comprendere [il mistero] del corpo di Cristo, ascolta l'Apostolo che dice ai fedeli: Voi siete il corpo di Cristo e sue membra. Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo, e tu rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen».

Un eremo o una parrocchia, essere celibi o coniugati, in un servizio o in un altro… poca importa! L’importante è che il Signore ci doni sempre questo pane da cui scaturisce e prende forza il nostro “per sempre”.

Ogni vocazione nasce dall’incontro personale con Il Signore Gesù. Anche la tua.

Amen

+ Claudio, vescovo

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